La politica si spacca, come fa da anni, sul fine vita. Stavolta lo spunto è arrivato dal Veneto, dove il consiglio regionale, per un voto, ha bocciato il regolamento che in qualche modo doveva regolamentare, a livello medico, il cosiddetto diritto alla morte volontaria. Lasciamo da parte la politica e le sentenze giudiziarie e proviamo a parlare di noi due. Di me, di te. Io che scrivo e tu che leggi siamo i veri protagonisti di questa partita. Perché sia io che te, ed è inutile toccare amuleti vari, arriveremo in un modo o nell'altro al fine vita.

Ma bisogna intendersi su che cosa sia il fine vita ed è da questi frequenti fraintendimenti, più o meno voluti, che nasce l'equivoco generale. Nel corso del nostro percorso naturale può arrivare il momento in cui possiamo dirci, sottovoce o urlando:1) Non ce la faccio più;2) La mia vita non ha più senso. Parliamo di malati terminali, parliamo di disabilità grave o gravissima, parliamo di uno che non ce la fa più e stop, magari perché ha perso il lavoro o la moglie o chissà cosa.

C'è invece una domanda che ci si pone nel caso che una persona sia nel limbo di un coma, di uno stato vegetativo, di minima coscienza, di qualcosa di misterioso. Il quesito è il seguente: 1) Ci sono o non ci sono? Chissà se chi è in stato vegetativo se la fa questa domanda; ma gli altri, noi, se la pongono/ce la poniamo di sicuro: c'è o non c'è? E se c'è: dov'è?) Non illudiamoci però che una legge, una norma, un trattato scientifico possa rispondere a questi giganteschi quesiti e stati d'animo della vita. Vita che è più forte, straripante, travolgente di qualsiasi tattica umana che vuole piantare tranquillizzanti paletti. La vita non va tranquillizzata, la vita non è bella o brutta, la vita è vita. Stop. Ma con chi urla che ormai la sua vita non ha più senso, io e te che facciamo? Mi vien da dire: prima di andare da un medico o da un legislatore, intanto gli stringiamo, forte, la mano, Lo accarezziamo. Stiamo con lui/lei. C'è un paradigma (favolosa parola utilizzata da Stephen Covey nel libro 'Sette regole per avere successo: è il sottinteso, il non detto ritenuto certo) che si può cambiare: non ci sono vite di serie A o di serie serie B, un malato di Sla può avere una vita da Champions League rispetto a un milionario che passa l'estate in giro con il suo yacht. Succede, e noi del Club L'inguaribile voglia di vivere tocchiamo spesso con mano che succede. O almeno: può succedere. Ecco perché, se può succedere, lo sforzo che io, tu e di conseguenza il messaggio che dobbiamo portare in ogni luogo, in ogni dove, è che ci può essere sempre (SEMPRE!) il modo di dare un significato a un'esistenza.

Il vero sforzo da fare è questo. Anche se sei in carrozzina o attaccato a un respiratore puoi essere felice, vivere felice!. Come si fa: non c'è una formuletta o una ricetta magica: te la giochi. Ma la vita è un attimo che va giocato, vissuto, ripetutamente, per il tempo che Dio o il mistero ti dà. Cosa c 'entra tutto ciò con la legge bocciata in Veneto? Forse nulla, potrà dire qualcuno, Ma se cambiamo, alla Covey, paradigma, in realtà questa roba qui diventa il pilastro della questione.

 

di Massimo Pandolfi

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