vettorelloVanessa Vettorello è una fotografa ritrattista che durante gli studi universitari in Psicologia ha scoperto la passione per la fotografia. Il suo progetto Fixing you prende le mosse dal libro con lo stesso titolo scritto anni fa dalla neurobiologa statunitense Susan R. Barry che racconta la sua vita in 3D subito dopo l’operazione che ha subito all’età di 5 anni per correggere lo strabismo. Anche Vanessa è stata affetta dallo stesso disturbo visivo.

“Da bambina - racconta - vedevo doppio e non avevo profondità di campo, per me ogni cosa era piatta e raddoppiata e non capivo quale fosse quella giusta. Alle elementari stavo in un mio mondo, ero sempre distratta e molto agitata e cadevo spesso, tanto che mi sono rotta tutta. Avevo sempre bisogno degli occhiali, che mi raddrizzavano la vista. Poi a 12 anni sono stata operata e ricordo perfettamente quando mi hanno tolto le bende: allo specchio ho visto una sola Vanessa. Non vedevo più la doppia me e da quel momento la mia vita è cambiata. Mi sono sentita più sicura, ho iniziato a fare sport e mi sono collegata con la realtà. Ho lasciato il mondo degli animaletti colorati che fino a quel giorno mi aveva tenuto compagnia”. Con il passare degli anni le è tornato il desiderio di tornare a vedere con occhi nuovi quel mondo che aveva percorso con uno sguardo “strano”. Ha letto libri, si è informata, ha cercato persone che la aiutassero ad andare a fondo al problema dello strabismo come l’ortottista Marisa Merlone e il professor Nucci,un luminare della chirurgia ottica per lo strabismo. “Ho deciso di raccontare lo strabismo –dice- perché se ne parla poco e soprattutto si parla poco di prevenzione.

Ci sono i mezzi per capirlo anche in un neonato e anche se è latente i genitori devono sapere che non è un problema estetico ma funzionale”. Con la fotografia, utilizzando delle doppie esposizioni, unendo la tecnica alla sua storia e alle sensazioni che ha provato negli anni Vanessa guarda con gli occhi del cuore tracciando una strada aperta alla speranza che lo strabismo non sia vissuto più come un tabù.

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La storia di Luca è cominciata 25 anni fa. Aveva 15 anni quando un’operazione andata a male lo riduce in coma. 8 mesi di stato vegetativo, poi un dito che comincia a muoversi e compaiono i primi segni del risveglio. Ma la notte fra il 7 e l'8 gennaio del '98 Luca muore nel sonno. Da questa vicenda è germogliata una promessa: la nascita della “Casa dei Risvegli Luca De Nigris”, un centro innovativo di riabilitazione e di ricerca inaugurato nel 2004 a Bologna con la collaborazione tra l’Azienda USL e l’associazione di volontariato ONLUS “Gli Amici di Luca”. La struttura è composta da dieci moduli abitativi dove l’ospite può restare con un proprio caro e le famiglie partecipano al percorso di cura e riabilitazione. È una formula nuova, un “ospedale della famiglia” dove gli assistiti non sono considerati “malati” ma persone con alto bisogno di assistenza e di riabilitazione.

Fulvio De Nigris, il papà, ci dice: “ Luca è nello sguardo di queste persone, nei loro desideri, nelle loro speranze, in quello che per lui è andato perduto ma ancora possibile recuperare per chi ogni giorno vive la lunga difficile battaglia per la ripresa della vita. Noi siamo convinti di questo e del ruolo, nostro come di tanti, di “familiari esperti” che sostengono nella forza propulsiva dei tanti volontari e nell’impegno degli operatori sanitari e non nella ‘Casa dei Risvegli’.

La vicenda di Luca insegna anche questo: che il dolore non è mai chiuso in se stesso, che l’emotività e l’umanità non è mai isolata. Ma che è possibile farla interagire con professionalità diverse in una forma di alleanza terapeutica che nei rispettivi ruoli rafforza l‘obiettivo comune". Giovedì 19 ottobre 2023 al Parlamento Europeo si è realizzato l’incontro con la Casa dei Risvegli in occasione della nona "Giornata Europea dei Risvegli". . “Con questa Giornata europea – continua De Nigris – apriamo il confronto tra diverse realtà, ma per il futuro intendiamo allargare il numero di Enti e Paesi coinvolti. Anche l'associazione “Gli amici di Luca” è stata a Bruxelles per una tournèe realizzata insieme all’attore Alessandro Bergonzoni e le persone con esiti di coma che frequentano i laboratori teatrali della Casa dei Risvegli .  

“Venticinque anni sono una grande spesa di tempo, ma non perdita - sottolinea l’attore -. Portiamo al centro l’idea di integrazione e del non far fuggire, ma “congiungere” i congiunti che se ne vanno. Con “Congiungivite” (che è lo slogan scelto per la campagna di quest’anno) facciamo proprio questo: cerchiamo di sforzarci per metterci su un’altra frequenza. Se la congiuntivite fa lacrimare e fa vedere opaco, la “Congiungivite” unisce: la salute, l’arte, la giustizia e tutto il resto. Ed è quello che fa la Casa dei Risvegli, luogo in cui si cerca di tenere la vita in connessione con tutto”. Locandina 5 lustri di campagne Giornata dei risvegli e1696152332137

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La vicenda della bambina inglese Indi, condannata dalla giustizia britannica non sarà, temiamo l'ultima. Il caso ha suscitato forti commozioni, indignazioni, prese di posizione. Ora è già nel dimenticatoio. La politica ci ha messo del suo, nel bene e nel male. La classe medica italiana - a parte l'ospedale che si è offerto di accogliere Indi - ha mandato segnali difformi. C'è chi paventa il rischio di diffondere una idea miracolistica della medicina.

Ma ciò può rischiare di essere una posizione difensiva o corporativa che finisce per giustificare la giustizia britannica (della quale vien da pensare sia stata mossa da considerazioni più meschine o nazionalistiche). Il nodo gordiano molto difficile da sciogliere - bisogna che ce lo diciamo - è il chi deve avere l'ultima parola, perché abbiamo detto che su Indi bisognava rispettare la volontà dei genitori. Giustissimo! Ma in altri casi, se teorizziamo il diritto dell'ultima parola a chi è coinvolto, quando i genitori o qualche congiunto "pretendano" al contrario una rapida eutanasia per uno della famiglia (o venga chiesto un suicidio assistito da parte di un singolo) come ci regoliamo? La domanda è drammatica anche per chi è "pro life". Una idea laica e "inclusiva" o neutra di libertà giustificherebbe sia il padre di Eluana Englaro che, all'opposto, il padre eroico di Cristina Magrini. Certamente e in ogni caso non giustifica il giudice inglese.

Avvertiamo però, se siamo sinceri, che questa libertà indistinta ci lascia inappagati e incerti. Tuttavia una bussola umana e ideale, che può e deve richiedere solidarietà e forse anche un po' di eroismo tra famiglie, medici e "comunità civili", è che la vita non appartiene né allo stato né ai genitori né ai singoli. Ci è data. Tanto è vero che normalmente facciamo di tutto per impedire i suicidi. Quindi percepiamo al fondo che non siamo padroni della nostra stessa vita e sentiamo che la vita merita di essere vissuta per intero o sempre "ritentata" fin che sia possibile. Perché però non si perda il senso, drammatico e sbalorditivo, che la vita è dono bisogna non essere soli. E avere tutti, giudici inclusi, una immensa capacità di amore e rispetto. Quella capacità che può anche mostrarci il discernimento, a volte confuso o non facile ma non censurabile, tra cura legittima e accanimento terapeutico da evitare. L'ideologia militante o una giustizia astratta, ormai lo sappiamo, non aiutano in questa frontiere estrema dove si gioca tutto dell'umano

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