Daniel Barenboim è un pianista e famoso direttore d'orchestra argentino con cittadinanza spagnola, israeliana e palestinese.
Nel 1999 insieme allo studioso palestinese Edward Said ha fondato a Weimar la West-Eastern Divan Orchestra, un’orchestra che riunisce giovani musicisti provenienti da paesi e culture storicamente nemiche: Israele, Egitto, Giordania, Siria, Libano e Palestina in uno straordinario laboratorio di integrazione e dialogo.


Come afferma infatti lo stesso Barenboim: “non è sufficiente pensare che un’orchestra possa rappresentare un magnifico progetto sociale e che questa idea possa funzionare da sola; può essere una grandissima motivazione, ma poi devono vedersi i risultati. Nel momento in cui la Divan Orchestra sale sul palcoscenico il pubblico è sicuramente pieno d’ammirazione per il coraggio di questi giovani, ma alla seconda nota ha già dimenticato questo aspetto e vuole ascoltare solo della buona musica, suonata al massimo livello possibile”. Quindi passione per una musica capace di abbattere barriere considerate insormontabili, capace di creare ponti incoraggiando le persone ad ascoltare la narrativa dell’altro, ma al tempo stesso grande professionalità e lavoro. il primo concerto della Divan Orchestra è stato a Ramallah, in Cisgiordania il 21 agosto 2005 con il sostegno delle Ambasciate di Germania, Francia e soprattutto Spagna, che ha dotato tutti i musicisti di un passaporto diplomatico. 

"Questo concerto non è diverso da tanti altri, dal punto di vista musicale - ha detto Barenboim - ma si potrebbe scrivere un libro sui problemi di tipo logistico". Musicisti arabi e israeliani sono giunti infatti a Ramallah con due diversi cortei diplomatici, attraversando frontiere blindate e vincendo paure, sospetti e difficoltà di ogni tipo.
Il percorso della Divan Orchestra non è stato certo semplice perché tutte queste difficoltà si sono moltiplicate nel corso di questi anni. I palestinesi non hanno passaporto e quindi è complicatissimo farli uscire dai propri confini e comunque l’integrazione tra persone con storie così diverse è un percorso da costruire con pazienza senza perdere la speranza. Uno degli obiettivi dell’orchestra è stato quello di esibirsi in tutti i paesi rappresentati dai suoi musicisti. I concerti a Rabat, Doha, Abu Dhabi e a Ramallah sono stati passi avanti verso la realizzazione di questa aspirazione. Purtroppo la grave situazione attuale ha azzerato l’attività dell’orchestra.

La grandezza di questo tentativo ci ricorda che la musica da sola non può risolvere i conflitti ma garantisce all’individuo il diritto e l’obbligo di esprimersi pienamente mentre ascolta il suo prossimo. Le Nazioni Unite hanno proclamato Daniel Barenboim “messaggero della pace” e hanno riconosciuto la West-Eastern Divan Orchestra come difensore mondiale della comprensione culturale per promuovere la tolleranza, la comprensione e l’unità tra i popoli di diverse identità culturali e religiose, la prima orchestra a ricevere questo onore. 

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“I nostri antichi trovavano opportuno raffigurare il Bambin Gesù accanto ai simboli della Passione. Se vogliamo comprendere quella nascita dobbiamo pensare al destino che essa contiene in sé, a tutta la storia che da qui prende origine. È una storia che conosce il dolore più straziante, ma non è una storia di dolore. È una storia di amore, di donazione, di grazia, di verità, di luce e di infinito” (Zeno Davòli).

Tre esempi, fra i tanti. Giotto affrescando la Natività nella Cappella degli Scrovegni dissemina non pochi “segni” che preludono alla Passione. L’aureola del Bambino è crucesignata; Giuseppe si sorregge il capo nel canonico atteggiamento della melancolìa, ed ha una greve mestizia stampata negli occhi socchiusi; l’asinello è il “sorcino crociato”, connotato dalla lunga fascia nera che corre dal capo alla coda, ortogonalmente intersecata “a croce” sul dorso; Maria che qui sta per deporre il bambino in fasce nella mangiatoia è quasi identica (nel gesto, nell’acconciatura e nel volto dall’espressione trepidante) all’Addolorata che abbraccia il Cristo morto il quale trentatré anni dopo verrà fasciato nella sindone e deposto nel sepolcro nuovo. Giotto è davvero geniale nel celare questi segni in modo “dis-creto”, ovvero offerto all’intelligenza di chi ha il dono di “dis-cernerli” al termine di un’assidua contemplazione.

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Altri due pittori sono più espliciti, forse per timore che ci si fermi ad una lettura epidermica e sentimentale del Natale. Benedetto Bonfigli (1420-1496), in una tavoletta conservata alla National di Londra, ci appare straniante e “pro-vocatorio” quando non teme di piazzare Cristo Crocifisso (per di più imberbe) sul Golgota alla destra dell’Epifania. Colmo di sconfinata mestizia è il volto di Maria. Il primo dei Magi ha già posato a terra la corona regale e si è inginocchiato per adorare il Re dei re che si è fatto Bambino, ma con la coda dell’occhio Maria sembra vedere l’irta corona di spine di una ben diversa regalità, quella del Servo sofferente. Il neonato Gesù appare già in grado di stringere il dono che – identico a quello degli altri due Magi – ha forma di pisside o di antico ostensorio e, poco più in là, dal costato squarciato come pure da mani e piedi trafitti prorompono rossi fiori di sangue in prospettiva eucaristica. Immedesimiamoci nel cristiano che prega davanti a questa tavoletta “pan-oramica”: è aiutato a far memoria sinteticamente di tutto l’essenziale. Il Verbo incarnato che si è epifanizzato nel Bambino, e che è morto in croce, permane e continua ad offrirsi al nostro sguardo adorante nel sacramento eucaristico.

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E allora che paura abbiamo? Altrettanto sorprendente è la Natività dipinta giusto cinquecento anni fa – nel 1523 – da Lorenzo Lotto, una tavoletta di cm. 46x35 conservata alla National di Washington: come già in Giotto così qui i segni della Passione sarebbero discreti (le braccia incrociate sul petto di Maria, il vincastro a forma di “T” fra le braccia di Giuseppe, i fasci di luce che s’irradiano “a croce” dalla testa di Gesù bambino) se non fosse per quel vistoso crocifisso rinascimentale appoggiato su una mensola in penombra in alto a sinistra, come in tante case di allora e di oggi. E proprio questa dimensione domestica e familiare rende il tutto commovente e per nulla sconcertante. Come giusto ottocento anni fa, nel 1223 a Greccio, san Francesco “inventò” il presepe vivente al fine di immedesimarsi nell’Avvenimento, così questa tavoletta del Lotto aiuta a contemplare i due momenti fondamentali dell’Incarnazione e della Redenzione attraverso la croce: una storia intera che rende la nostra vita integralmente umana, guarita, sana, qualsiasi sia la circostanza inevitabile che ci è data.

Lorenzo Lotto 017 copia

di Roberto Filippetti www.filippetti.eu

 

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Gessica e Achille. Forse non si conoscono neppure fra loro, ma che importa? Li uniamo noi: sono i nostri campioni della vita.
Gessica Notaro ha 33 anni, Achille Polonara 32.

Lei la conosciamo tutti per una storiaccia maledetta: anni fa fu aggredita e sfigurata con l'acido dal suo ex. Ma Gessica è una straordinaria donna coraggio: da showgirl è diventata la testimone vivente di forza, tenacia, capacità di affrontare la vita così com'è, senza piangersi addosso. Ha lottato, sofferto le pene dell'inferno, ma nelle settimane scorse ha detto: 'Presto potrò essere operata all'occhio sinistro. Ritroverò la vista anche da lì. Mi sento miracolata’.
Una notizia meravigliosa.

Come è una 'bomba' quella che ci ha regalato, che si è regalato, quel lungaccione anconetano di 205 centimetri che gioca a pallacanestro nella Virtus Bologna e che si chiama Achille, Achille Polonara. A inizio ottobre, un sabato prima della partita, gli dissero che aveva un tumore al testicolo e che doveva essere subito operato. Il giorno dopo è andato a vedere e salutare i compagni, il lunedì è entrato in ospedale, il martedì è finito sotto i ferri. Ansia, paura, il dopo con chemioterapia e con i capelli che cadono. Eppure il mitico Achille neanche due mesi dopo, era di nuovo lì, sul parquet, a sfidare Varese e quando il coach lo ha mandato in campo ha commosso tutti e il palasport è esploso nel momento in cui ha inventato pure la 'bomba', cioè il tiro da tre, che ha scaraventato nel canestro non solo il pallone ma anche sessanta, maledettissimi giorni di sofferenza.

Mitico Achille, mitica Gessica: siete i nostri campioni della vita. Abbiamo bisogno di raccontare esempi così.

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