Jerome LejeuneIl 13 giugno 1926 a Montrouge in Francia nacque Jerome Lejeune. Laureatosi in medicina nel 1951 cominciò ad impegnarsi nelle ricerche sulla “Sindrome di Down” (chiamata allora anche mongoloidismo). Affiancato da due colleghi scoprì che, nei bambini affetti dalla sindrome, è presente un cromosoma in più nella coppia 21, per cui si iniziò ad indicare questa sindrome con il termine “Trisomia 21”.

Il suo impegno voleva essere in difesa della vita ma la sua ricerca pionieristica portò anche allo sviluppo di test prenatali usati per individuare la Sindrome di Down nei feti, molti dei quali vengono abortiti volontariamente per motivi eugenetici. Nonostante le pressioni della comunità scientifica e le ritorsioni per le sue prese di posizione in favore della vita nascente viaggiò in tutto il mondo per testimoniare la bellezza e la dignità inviolabile della vita umana davanti ai Parlamenti, alle assemblee degli scienziati e ai mass-media. Parlava pubblicamente di “Razzismo cromosomico” denunciando che “la medicina alla Molière invece di sopprimere la malattia sopprime il malato”.

L’amata moglie Birthe con cui ebbe cinque figli scrisse: “Davanti alla menzogna che uccide lui ha avuto il merito di non farsi mettere a tacere”. L’amore per i bambini con la Sindrome di Down era la motivazione alla base del lavoro di Lejeune Solo nella sua clinica parigina seguì cinquemila pazienti in età pediatrica, ricordando il nome di ognuno e dicendo ai loro genitori: “Dobbiamo amare il bambino e curare la malattia”. E come raccontò nel 2013 la figlia Clara, se il padre Jérôme riceveva una telefonata da una coppia che aspettava un bambino con la Sindrome di Down, lui smetteva di fare quello che stava facendo e andava ad incontrarli, in qualsiasi giorno, anche a Natale …”.

Jerome Lejeune fu veramente “padre” di una misteriosa abbondanza cromosomica che colpì tanti suoi figli - pazienti perché ha sempre seguito questa indicazione : “Una frase, una sola, determinerà la nostra condotta, la stessa parola di Gesù: Quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me (Mt 25,40)”. Il 21 gennaio 2021 Papa Francesco ha promulgato il decreto che riconosce le virtù eroiche di Jerome Lejeune proclamato Venerabile.

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1 Simeone GiottoCi stiamo incamminando anche noi con Giuseppe e Maria verso il 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù bambino al Tempio. Festa luminosa, la Candelora, che giunge come “compimento” quaranta giorni dopo il Natale. Prima di andare a letto si recita la “compieta” perché la giornata è “compiuta”. Quaranta è numero diffusissimo nella Bibbia che simboleggia appunto un tempo “compiuto”. Io condivido la “sub-gestiva” ipotesi che esso nasca dalle quaranta settimane della vertiginosa gestazione umana, dopodiché attraverso il travaglio del parto la creatura viene alla luce.

Solo tre esempi: i travagliati quarant’anni nel deserto, fino all’approdo nello splendore della Terra Promessa; i quaranta giorni di Gesù nel deserto e le tre tentazioni, fino all’inizio dei tre entusiasmanti anni di vita pubblica; i quaranta giorni per antonomasia – la quaresima – fino al trionfo dell’ingresso a Gerusalemme, cui fa seguito il precipizio del Golgota e il definitivo trionfo della radiosa alba nuova di Pasqua. Il giorno della Presentazione al tempio si “compie” l’attesa del vecchio Simeone, che può andare in pace perché i suoi occhi hanno visto nella carne di un Bambino la “luce per illuminare” tutti i popoli.2 Simeone Beato angelico det

È questa una festa grande per noi latini, e grandissima nel mondo ortodosso che la chiama “ipapànte”, cioè “incontro”: l’incontro tra l’attesa del cuore e il suo sorprendente compimento. Etimologicamente “in-contro” è parola che cela un intimo ossimoro: “in-” esprime attrazione, “-contro” dice invece repulsione. Anche a livello semantico il Bambino entra in scena come “segno di contraddizione”. Nei capolavori di Giotto e del Beato Angelico vince il positivo, espresso dalla grande pace che connota i volti. Invece nei capolavo3 Simeone Mantegna dettri “gemelli” dei due cognati Giovanni Bellini e Andrea Mantegna tutto appare tremendamente serio e inquietante. Entrambe le tavole fissano il contraccolpo della profezia formulata dal vecchio sacerdote alla giovane Madre: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima”. 

È questo il primo dei “sette dolori” di Maria. Particolarmente sconsolato e incupito appare Giuseppe, in leggero secondo piano al centro. Ma c’è una parola-chiave, verso l’inizio del racconto dell’evangelista Luca: «A Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui» (Lc 2, 25). “Con-solazione”: da tempo m’interrogo su cosa significhi questa parola. Il card. Gianfranco Ravasi scrive: «l'etimologia di questo vocabolo è il termine “solo”: quindi “consolare” è sostanzialmente “stare con uno che è solo”».

Io credo invece che alla radice ci sia il latino solacium che significa “conforto, aiuto, ristoro”. Tenendo insieme le due ipotesi, “consolare” significa dunque donare una compagnia che conforta, e fare compagnia a chi è solo col suo dolore. Simeone aspettava la consolazione d’Israele e se la ritrovò sorprendentemente fra le braccia: una carne da abbracciare, dunque. Un Dio che non toglie la spada che trafigge neanche all’Addolorata sua Madre, ma che salirà in croce e si farà trafiggere. E che risorgerà. E che permarrà lungo i secoli nella forma della compagnia che “con-sola”.

di Roberto Filippetti www.filippetti.eu

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9788817019514 0 536 0 75Il dolore , la speranza, il pregiudizio e l’amore per gli altri albergano nell’animo umano in ogni epoca. Cambia lo scenario nel quale l’individuo si muove, cambiano le parole che si usano per indicare ciò che accade e come noi reagiamo agli eventi ma il cuore, quello non cambia. Questa storia tristemente splendida e piena di speranza narra di Letizia, una bambina con un cromosoma in più, nata “nel giardino dei bambini incompleti”.

Racconta del padre Nevio, alcoolista ed irresponsabile, della madre Valentina che il dolore per questa figlia diversa porta a rinunciare alla propria vita e di due splendidi nonni, Primo e Nora. Primo giganteggia non solo perché realmente grande e grosso. Lui, con un passato da pugile e una smisurata passione per tutti gli avvenimenti pugilistici ha da subito una tenera, serena accettazione di questa nuova vita. “Il nonno pugilista prese tra le mani enormi la bambina..scostò con un dito la copertina che l’avvolgeva per vedere meglio il viso. “A me- disse- sembra la più bella di tutte”.

Fa da sfondo alla storia la città di Trieste, l’Istria e il dramma dell’esodo che Primo ha sofferto in prima persona ma anche le tante storie di combattimenti tra pugili poco conosciuti che hanno lottato spesso a riflettori spenti, storie che il nonno racconta alla nipotina per farla addormentare. Primo e Nora devono affrontare pregiudizi, luoghi comuni inespugnabili sulla diversità della piccola Letizia e meschinità di ogni genere ma incontrano anche persone di buon cuore che rendono, per quanto possibile, più lieve il loro cammino. Il messaggio fondamentale del libro, come ha commentato l’autore sta proprio nelle parole che nonno Primo dice alla nipotina: “Non importa perdere, piccola. Si può perdere anche tutta la vita. Capita. Importa come si perde. Come

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