Hai una sofferenza psicologica irreversibile?
In Belgio puoi chiedere di morire. Anzi, ti aiutano a morire. Eutanasia, parolina magica o tragica a seconda dei punti di vista: in quello stato è legge.

Due episodi, capitati nel giro di qualche giorno proprio in Belgio, in marzo, ci inducono a una serie di  riflessioni: forti, importanti.
Primo episodio: una donna di 56 anni uccise 16 anni fa i suoi cinque figli, dai 3 ai 14 anni, sgozzandoli uno a uno. C'è poco da aggiungere, se non che questa donna, ad un certo punto, non ce la faceva più a vivere con questo gigantesco macigno e senso di colpa dentro il cuore e ha chiesto di morire: accontentata.
Secondo episodio: un'altra donna ha chiesto di andare all'altro mondo. Però, in questo caso, lei era una vittima, non la carnefice. Madre di due figli, ha ottenuto l'autorizzazione a mettere fine alla propria vita per le sofferenze psicologiche provocatele da uno stupro avvenuto nel 2016. Anche lei accontentata e pure suo figlio ha sostenuto la scelta in una lettera aperta: 'Mia mamma è ancora viva fisicamente, non più mentalmente'

Alcune considerazioni.
1) Solo a leggere le parole del figlio della mamma violentata e che ha chiesto l'eutanasia, si capisce in un attimo che la cosa più fine vita pieta sbagliata sarebbe quella di entrare a piedi uniti su queste vicende, riempiendole di teorie, di dogmi e di fregnacce. Rispetto per tutti, in primis.

2) Ciò non toglie che un giudizio si può e si deve dare. Cominciamo dalla mamma assassina e partiamo a monte: dalla pena di morte, non dall'eutanasia. In 52 Stati nel mondo esiste ancora. Voliamo bassi: noi, tu, come ci poniamo, come ti poni di fronte a questa cosa qui? In teoria siamo tutti bravi e buoni a dire che no, la pena di morte non deve esistere: ma in pratica, nella pratica, nella carne, se tu che leggi fossi il padre di quei bambini ammazzati, continueresti a dire che la pena di morte è contro l'umanità e va abolita? Avresti la forza di perdonare quella mamma assassina?
Non lo sai, non possiamo saperlo. Il perdono è una cosa così grande che ti arriva appunto per-dono (possiamo dire grazie a Dio noi che crediamo): lo spiega magnificamente nei suoi incontri e anche in un libro, Gemma Calabresi, moglie del commissario Mario Calabresi barbaramente ammazzato.
Però una cosa ci fa un po' schifo, e ci sia consentito di esprimerci così: per carità, siamo contro la pena di morte, forse anche contro l’ergastolo, perché il condannato deve avere una via, un'uscita, una rieducazione. Una chance, ecco. Però se te lo chiede lui di essere ammazzato va tutto bene? Cos'è ci togliamo forse un peso dalla coscienza? Non siamo per caso un po' ipocriti? Non abbiamo il coraggio (per fortuna) di ammazzare la mamma-mostro ma sia fatta la sua volontà se lei vuole togliersi di mezzo?

3) A scanso di equivoci: chi scrive vorrebbe che la pena di morte scomparisse da tutti i paesi del mondo e spera anche di non cadere mai nella tentazione se la realtà gli dovesse presentare una situazione al momento, ovviamente, inimmaginabile. La tentazione di dire o anche di scrivere una parola in più, di troppo. Siamo fatti per vivere e un giorno morire, ma la vita e la morte sono cose troppo più grandi di noi.

4) Tornando al legame fra le due storie, le due donne che vogliono morire, la mamma assassina e la mamma stuprata, una colpevole (anzi una super colpevole: come cavolo si fa ad uccidere i propri cinque figli? e una vittima. Siamo proprio sicuri che la libertà di chiedere di morire sia propria una libertà? C'è da festeggiare perché, viva il Belgio che lo consente dal 2002, si possono esaudire i desideri di chi non ce la fa più? Più che una vittoria, non è forse una sconfitta questa?

5) Non sarebbe magari meglio, e qui chiudiamo, esultare, gioire, fare festa, quando si riesce a ridare, anche quando solo si prova a ridare, un senso e una direzione a queste vite sbandate, psicologicamente o mentalmente? Non sarebbe questa, Belgio o Italia che sia, la vera risposta sociale, politica e soprattutto umana, a chi non ce la fa più? Tenere per mano chi non ce la fa più, accarezzarlo (anche la mamma assassina, sì: e sarà complicatissimo, lo so), dargli compagnia.
E se non succede niente? Possibile, in alcuni casi probabilissimo. Ma questa, alla faccia di eutanasia, suicidio assistito e scorciatoie varie, credo sia l'unica strada percorribile. Vera, fatta per l'uomo. Umana. Dare un significato a una vita, a ogni vita,  che sembra non avere significato, che sembra solo da buttare. Anche a quella della pazza mamma assassina. O al vecchietto con l’alzheimer o al ragazzone diventato tetraplegico per un incidente. E' difficile, ma si può!

di Massimo Pandolfi (presidente del Club l'inguaribile voglia di vivere)

Per vedere i pulsanti di condivisione per i social (Facebook, Twitter ecc.), accetta i c o o k i e di "terze parti" relativi a mappe, video e plugin social (se prima di accettare vuoi saperne di più sui c o o k i e di questo sito, leggi l'informativa estesa).
Accetta c o o k i e di "terze parti"