Qual è il filo che unisce il Centro Nemo del Policlinico Gemelli di Roma(centro clinico specializzato che si occupa di malattie neuromuscolari e neurodegenerative) e la Beata Armida Barelli? Il 30 Aprile 2025, tre anni dopo la sua beatificazione, con una targa il Centro è stato dedicato a questa donna straordinaria.
Il dipinto posto all’ingresso del reparto include una citazione della Beata scritta durante la sua malattia, la SLA. “Ora non posso più parlare, ma posso pensare, amare, pregare, scrivere e offrire la mai croce”. Come ha dichiarato Mario Sabatelli, direttore del Centro Nemo: “Intitolare il nostro Centro alla beata Armida Barelli significa riconoscere che la medicina non si riduce alla cura della malattia, ma si esprime prima di tutto nel sollievo della sofferenza.
E’ questo il principio che da dieci anni guida il nostro lavoro al fianco delle persone con SLA”. Armida ( 1882-1952) è stata una donna di fine Ottocento all’avanguardia, in qualche modo rivoluzionaria che amava ripetere : “ Se è impossibile allora lo facciamo”. E lo ripeteva non per presunzione ma perché la sua vita era fondata sulla preghiera e sull’amore. Nata a Milano da famiglia agiata è davvero –come la definisce la biografa Maria Sticco – “una donna tra due secoli, pilastro insostituibile della nascente Università Cattolica del Sacro Cuore e fondatrice della Gioventù Femminile di Azione Cattolica”.
Fu una donna emancipata e controcorrente,intelligente e volitiva , impegnata socialmente e culturalmente per “essere per agire”, “istruirsi per istruire”, “santificarsi per santificare”, sempre in stretta unione con Dio e in una sempre maggior ansia missionaria perché : "Col mio Signore nel cuore io vado incontro a tutto il mondo e sono sicura che con Lui vincerò sempre. Non mi angustio per nulla: ci penserà Lui ad ogni difficoltà"
Mi chiamo Rita e il 29 giugno del 2006 ho ricevuto il dono di poter “rinascere” grazie alla donazione di un cuore nuovo. La mia vicenda risale a parecchi anni fa ma non passa giorno che io non ringrazi Dio per avermi salvata e nelle preghiere sempre mi ricordo della famiglia della mia donatrice.
Sono sempre stata fin da ragazza una persona che crede nel Buon Dio e nella Provvidenza, la fede la “respiravo” già in famiglia! Nel 2005, anno in cui ho scoperto di avere la necessità urgente di un trapianto di cuore, questo ha acquistato maggior valore e certezza . Infatti il 9 dicembre del 2005,i chirurghi - cardiologi dell’ospedale S. Matteo di Pavia - mi hanno impiantato un cuore meccanico che arrivava dall’America appositamente per me. Se non mi avessero messo questo cuore sarei presto morta perché il trapianto richiedeva moltissimo tempo d’attesa . Improvvisamente a giugno del 2006 mi chiamano per avvisarmi che forse c’era un cuore per me ….
Non posso descrivere la gioia ma anche la tristezza perché il cuore arrivava da una persona che era certamente deceduta. Tanti sono i segni che Dio mi ha dato dentro questo cammino: il cuore,che proveniva da una giovane ragazza della quale in seguito ho saputo il nome, sarebbe potuto essere assegnato a una delle altre due persone che erano lista insieme a me, invece grazie alla maggior compatibilità e al fatto che fossi credente si e’ rivelato che ero io la destinataria ! Gli infermieri e i medici che ho incontrato durante la varie degenze in ospedale sono stati tutti sempre molto premurosi non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano. I miei famigliari mi hanno sempre curata, sostenuta e amata in ogni passo del mio percorso. Non ho mai perso la voglia di vivere, anzi ero sicura che Dio mi stava tenendo sotto le “sue ali”e che desiderava che potessi testimoniare che la vita e’ un dono meraviglioso . Il mio sorriso e la pazienza sono tutt’oggi due delle caratteristiche che colpiscono chi mi incontra e che riconosco essere un dono che mi e’ stato fatto da Dio.
Il percorso che ho compiuto dentro la circostanza della malattia ha rafforzato la mia fede e sono infinitamente grata di essere viva e mi vengono alla mente le parole di un bel canto che dice così: “Voglio gridare a tutti quello che mi dai perché ho il cuore pieno Signore tu lo sai !! “
di Rita Ceccotti
"L’unica gioia al mondo è cominciare. E’ bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante".
Questa frase di Cesare Pavese è scritta sulla porta di ingresso della scuola primaria in cui lavoro dal 2001 e ogni giorno mi ricorda la bellezza del compito a cui sono chiamata insieme alle maestre con cui lavoro: educare i bambini che ci sono affidati. Ogni mattina accolgo i bambini fuori dalla porta della scuola, li chiamo tutti per nome e auguro loro una buona giornata, una giornata ricca di bene perché ciascuno di loro è un bene prezioso.
Ci tengo molto a questo saluto quotidiano, perché è all’inizio di ogni nuovo giorno e come dico spesso ai bambini: “Ogni giorno è un dono tutto nuovo che possiamo “aprire” insieme”; quando entrano vedo volti sorridenti, stanchi, pensierosi e penso che siamo fortunati ad essere insieme ad iniziare la giornata e che ogni giorno è un nuovo inizio. Quando accogliamo un bambino, prepariamo tutto affinché ciascuno si senta atteso e voluto bene, che in fondo è il desiderio che abbiamo anche noi adulti. Ma cosa significa educare un bambino?
Io dico sempre alle famiglie che incontro che ogni bambino ha già in sé tutto ciò che gli occorre per diventare grande perché il buon Dio gli ha già fatto molti doni, allora noi adulti a scuola aiutiamo i bambini a conoscere la realtà, il grande dono fatto a ciascuno di noi. Facendo lezione, leggendo e scrivendo, cantando, ecc. noi educhiamo, comunicando uno sguardo di bene, aiutando i bambini a stare nella realtà, ad usare bene il proprio tempo, a stare con gli altri, a usare le cose per lo scopo che hanno, a seguire un maestro che ti prende per mano e ti accompagna, aiutandoti a godere delle cose belle, correggendoti quando sbagli e accogliendoti ogni giorno.
Riconosco che io posso educare solo se a mia volta sono educato, per questo motivo ci sono molti momenti di giudizio e confronto interni alla scuola, ma anche con altre realtà educative. Con il passare degli anni sono cambiate tante cose nella scuola, a volte sembra che aumentino le difficoltà, ma ogni giorno ci muove il desiderio che ciascun bambino faccia un passo. Il dialogo con le famiglie, che a volte sono sole e fragili, è un aspetto importante che va sempre coltivato perché solo così potrà crearsi quella alleanza educativa tanto preziosa per i bambini, diceva infatti Papa Francesco citando un antico proverbio africano “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”.
La mia scuola è un piccolo villaggio dove ogni giorno anche noi adulti camminiamo con i nostri bambini e la cosa bella è che non c’è un giorno uguale all’altro, ogni giorno è una sorpresa.
di Letizia Vanin