Il nostro amico Fulvio De Nigris, papà di Luca rimasto per otto mesi in stato vegetativo, ci ha raccontato uno dei tanti incontri nati tra le mura della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, struttura pubblica dell’Azienda Usl di Bologna nella quale opera l’associazione “Gli amici di Luca”.

“Tutte le persone che seguiamo, con le quali veniamo in contatto rimangono nel cuore. I dimessi dalla Casa dei Risvegli affrontano un percorso di riabilitazione complesso che nell’80% li riporta a casa “risvegliati” , intendendo con questa parola disabilità leggere o più severe, e nel 20% tornano sempre a casa o in strutture di lungoassistenza. In entrambi i casi c’è un percorso di accompagnamento, di condivisione, dove anche gli inguaribili non sono incurabili. Ermanno rientrava in quel 20% che non ha avuto risultati apprezzabili, nel senso del risveglio pieno, ma sempre curato amorevolmente dalla moglie Monica in un rapporto di comunicazione diretto, empatico.

È stato dai noi 9 mesi e nel 2009 con grande soddisfazione di sua moglie e di suo figlio è tornato a casa. Una casa riadattata dove la sua vita tra alti e bassi è proseguita con grande vitalità, allietata da tante relazioni, da tanti stimoli. Nel frattempo è arrivato un nipotino che ha imparato a conoscere il nonno e a farlo sorridere. Dall’anno scorso è entrato e uscito dall’ospedale sempre in punto di morte. Ma la moglie tenacemente lo ha sempre voluto portare a casa dove lo ha gestito normalmente e in sicurezza.

Nei giorni scorsi purtroppo ci ha lasciati. Ermanno ci ha donato tanto e sua moglie Monica ci ha insegnato a capire un nuovo modo di comunicare e ad avere rapporti con lui.
È possibile, con amore, anche con difficoltà riallacciare quel filo interrotto con la vita, mai da soli, ma accompagnati in un quotidiano diverso che affronta nuovi percorsi di vita.

Mi rimangono le parole che Monica scrisse quando Ermanno tornò a casa, appena dimesso dalla Casa dei Risvegli Luca De Nigris: ”Sarai un po’ spettinato, ma non sentirai né la fame né la sete e sarai comodissimo, avrai il tuo occhio parlante, vivo, e io salvaguarderò tutto ciò che resta di te”.

E così è stato. Ciao Ermanno.

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Per Paolo Falessi, chitarrista della band “Ladri di Carrozzelle” fare delle diversità un fatto normale è lo scopo che lo muove da circa trent’anni. “Noi Ladri -racconta- siamo una ventina di persone intercambiabili, unite dalla musica e soprattutto siamo quello che non ti aspetti perché siamo bravi nonostante tutto”. Il loro debutto risale al 1989. Paolo è l’unico dei fondatori rimasti perché molti, a causa delle loro patologie oggi non riescono più a suonare. Ma questa bella storia è andata avanti nel tempo evolvendo giorno per giorno.

Questo gruppo di amici romani è diventato una finestra aperta su un mondo dove tante finestre non si aprono o non si vogliono aprire. Paolo racconta: “ Facciamo radio e televisione e, quando ci chiamano, ci esibiamo nei centri per persone con disabilità o nelle feste private promosse per fare beneficienza o nelle scuole. Adesso siamo una ventina e abbiamo dei laboratori, una specie di vivaio dove facciamo crescere sempre nuovi ragazzi. Fino ad una decina di anni fa, facevano parte del gruppo soltanto persone in carrozzina, ma poi abbiamo aperto anche a quelle con patologie psichiche, una scommessa folle che si è rivelata vincente.

Ci sono ragazzi che suonano con me e che si divertono allo stesso modo, sia di fronte a 40 che a 40.000 persone. Sono straordinari perché non hanno filtri e pensano di fare sempre la cosa più bella del mondo … Le disabilità sono per noi delle opportunità che vengono affrontate, risolte e ci danno la possibilità di fare cose straordinarie.” I Ladri hanno infatti partecipato al programma dedicato al sociale “ O anche no” andato in onda su Rai 2 ma hanno girato il mondo: Brasile, Stati Uniti, Africa. Sono stai al Parlamento Europeo, come eccellenza in Europa e a Washington per il riconoscimento come eccellenza italiana.

“Per quanto mi riguarda -dice Paolo- a cinquant’anni finiti, non avrei mai potuto andare a suonare in Uganda per una settimana se non ci fossero stati i Ladri di Carrozzelle. Insomma, quelli che dovrebbero essere gli “sfigati” sono quelli che si tolgono delle soddisfazioni straordinarie e danno delle opportunità anche agli altri. La frase che mettiamo spesso nei nostri video durante i concerti è questa: quando si sogna da soli è poca cosa, ma quando si sogna in tanti è la realtà che comincia ad agire”.

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logo fondazione chopsLa sindrome di Chops ha solo due particolari graziosi: il nome e occhioni da bambola con ciglia lunghissime. Invece la realtà è che Chops è un acronimo impietoso dove la C sta per ritardo cognitivo e le altre lettere descrivono gravi difetti cardiaci e polmonari, obesità, displasia dello scheletro e statura bassa, problemi uditivi e visivi. In Italia tre bambini sono affetti da questa Sindrome, trenta in tutto il mondo. Questa che raccontiamo è la storia di Mario e della sua famiglia e del loro coraggio.

Mamma Manuela e papà Giovanni alla comparsa dei primi sintomi si sono mossi innanzitutto per cercare di capire quali fosse la causa dei molti disturbi di Mario. Solo nel gennaio 2023 a quasi due anni dalla nascita, l’intuizione di un genetista bolognese indirizza verso la diagnosi di Chops. L’incontro casuale all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna con i genitori di uno dei due bambini italiani affetto dalla sindrome dà loro nuovo coraggio e mette in moto la ricerca nel resto del mondo di chi soffre di questa patologia.

Ad oggi non esiste terapia per la Chops, ma riuscire a curare i tanti sintomi darebbe ai bambini una vita vivibile. Scoprire l’origine della mutazione genetica sarebbe il primo passo verso un farmaco ma purtroppo le malattie rare sono anche “orfane”. Per pochi bambini la ricerca non conviene, non fa business. “Così ci siamo mossi noi -spiega Manuela – e presto la Rete internazionale di famiglie con bambini Chops mi ha chiesto di farmi portavoce per raccogliere fondi per la ricerca, la sola speranza per i nostri figli”. Nasce così la “Fondazione Chops Malattie Rare Ets” che ha aperto una raccolta fondi.

Servono 400.000 euro per avviare la ricerca e grazie alla generosità che è subito scattata la Fondazione Chops ha arruolato una commissione composta da genetisti e ricercatori, capitanati da Ian Krantz lo scienzato americano scopritore della sindrome, che (gratuitamente) valutano i progetti internazionali. I primi 70mila euro sono già stati destinati a finanziare una compagnia Usa di biotecnologie che mira a individuare le terapie adeguate alla complessità dei sintomi. Inoltre la Fondazione sta per avviare un bando aperto a tutto il mondo per un progetto di ricerca che scopra i meccanismi genetici della sindrome.

Dice papà Giovanni: “… Oggi a Dio dico solo dammi la forza, donaci una speranza”…. e come Manuela sottolinea: “Mario forse è nato con questa missione, doveva smuovere tanti cuori, la gente dona perché vede i suoi grandi occhi e il suo sorriso”. Il logo della Fondazione Chops Ets è un bimbo che sale le scale con lo zaino sulle spalle, perché ogni bambino Chops ha la sua salita da fare e «anche Mario - dice Manuela - ha il suo zainetto e noi non sappiamo cosa porta».

Buon cammino Mario, saliamo quella scala insieme con te…

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