Stare lì. Per 37 anni. Amando, Imprecando. Pregando. Arrangiandosi. Sperando anche in un miracolo, sì. I protagonisti di questa storia sono i famigliari di Alessandro Guarnieri, il padre e il fratello. La madre no, è morta, non ha resistito 37 anni. 
Alessandro Guarnieri aveva 54 anni, Aveva perché ci ha lasciati qualche settimana fa: era in stato di minima coscienza (partendo dal coma, passando per lo stato vegetativo e finendo in quello che osiamo definire mistero). Aveva 17 anni quando la sua vita si trasformò. Gli esperti dicono che ha battuto il record di sopravvivenza in quello stato.

Ma parliamo di Giampaolo e Andrea, il padre e il fratello di Alessandro. In una toccante intervista hanno raccontato alcune cose importanti: 1) Gli avevano dato al massimo 72 ore di vita dopo l'incidente; 2) Avevamo il dovere di curarlo al meglio; 3) Siamo anche stati sostenuti dalla speranza che si compisse un miracolo; 4) La sua era una vita, non una non vita; 5) Rifaremmo tutto daccapo.

Ora leggetevi tutto d'un fiato il seguito: 'Non abbiamo mai avuto un'assistenza pubblica adeguata. Non c'è un vero servizio per questi malati. Noi ci siamo sempre e soltanto dovuti arrangiare. Quando per qualche crisi venivano a prenderlo col 118, dovevamo rispiegare tutto daccapo. Se da un lato c'è il libero arbitrio, dall'altro ci deve essere un sistema che garantisce i livelli adeguati di assistenza: ma non è così. Per avere un materasso antidecubito di ricambio abbiamo atteso 3 mesi, dopo 72 ore dal suo decesso sono venuti a ritirarlo. Se sei lasciato solo, è più facile decidere di farla finita- Anche perché ti senti un peso per i tuoi famigliari'.

Ecco, immergete questo discorso nei dibattiti etici politici di oggi, della Regione Emilia-Romagna che vuole fare come sempre la prima della classe e sforna regole e codicilli per poi mettere in piedi un Comitato etico di 22 persone (che dovranno anche essere pagate) e calendarizza anche il 'sia fatta la tua volontà' del suicidio medicalmente assistito: 42 giorni. Sì che bisogna correre per queste cose qui.

Pazienza, invece, se il materasso da decubito arriva tre mesi dopo.
Ci vorrebbe, cari amici, lo sguardo del profeta Isaia: 'Tu sei prezioso a miei occhi, perché sei degno di stima. Non temere perché io sono con te'.
Il mondo si ribalterebbe.

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Dal 2003 Andrea Chiaravalle aveva cominciato a correre le ultramaratone, le gare sopra i 42 chilometri che richiedono molta resistenza fisica. Non sapeva che quella resistenza sarebbe stata messa a dura prova proprio nell’affetto più caro per la figlia Greta. A 8 anni alla bambina viene diagnosticato un tumore al cervello inoperabile.

Quando Greta è mancata ad Andrea è passata la voglia di fare ogni cosa ma poi, racconta: “Ho trovato quel disegno che aveva fatto a cinque anni, in cui ci sono io che corro in montagna. Lei mi vedeva così e quest’anno ho colorato di rosso il cuoricino che aveva messo in vetta”. E così ricomincia a correre. «Ho tenuto la corsa per il silenzio, perché ti mette in contatto con te stesso, con le cose importanti della vita. E corro perché lì la sento. E allora le dico: “Greta, corriamo insieme”». Ha così portato a termine 22 ultramaratone, l’ultima a sessant’anni l’Everest Trail Race, una gara solitaria di 170 km in 6 tappe con 26mila metri di dislivello.

“Dopo 100 km di corsa mi sono trovato davanti l’Everest e mi sono messo a piangere. Non era disperazione e nemmeno gioia, era perché avevo trovato quello che cercavo”. Camminare aveva però anche un altro scopo, raccogliere fondi per l’associazione Vidas che offre cure ed assistenza ai malati che non possono più guarire e la cui cura e sollecitudine aveva sperimentato durante la malattia di Greta. Le sue ultramaratone hanno anche contribuito all’apertura a Milano della Casa Sollievo Bimbi, il primo Hospice Pediatrico della Lombardia. Il desiderio di bene di Andrea non si è fermato lì. Una delle sue passioni è l’arte e la pittura. Dipinge motociclette, automobili, corpi umani, uomini in corsa e spaccati di quella natura che ha incontrato nel suo cammino devolvendo il compenso di alcuni suoi quadri a Onlus che aiutano la ricerca sul cancro…

Buon cammino Andrea!

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Commento di Don Luigi Giussani a “LA GOCCIA “ di F. CHOPIN)

“Avevo sentito decine e decine di volte La goccia di Chopin, perché piaceva molto a mio padre. E anche a me, man mano che diventavo grande - nove anni, dieci anni...-, è incominciato a piacere, perché la melodia in primo piano è facile a intendersi ed è molto gradevole. Il primo ascolto del pezzo mi imponeva la suggestività della musica in primo piano. Ma dopo decine e decine di volte che lo avevo ascoltato, una volta, mentre ero seduto in sala, mio papà mise su ancora questo pezzo:improvvisamente ho capito che non avevo compreso niente di quello che era "la goccia".

Infatti, il vero tema del pezzo non era la musica in primo piano, quella melodia immediata, tenera e suggestiva. Non era l'ascolto istintivo del pezzo che faceva emergere la sua verità: il suo significato vero era una cosa apparentemente monotona, tanto monotona da ridursi a una nota sola che si ripete continuamente, con qualche leggera variazione, dal principio alla fine….. Quella è la nota che dal principio alla fine domina e decide del significato di tutto il brano di Chopin, che decide dal principio alla fine cos'è la vita dell’uomo: sete di felicità. Qualunque cosa ti piaccia, ti attiri e desideri, al momento ti fa lieto, ma subito dopo passa.

Eppure c’è una nota che rimane intatta, con qualche leggera mutazione, ma dal principio alla fine rimane intatta nella sua profondità e, nella sua semplicità assoluta, nella sua univocità, domina tutta la vita: la sete di felicità. Quella è la nota della vita, mi accompagna come il pensiero mio: se lo tirassi via,la vita non avrebbe più dignità. La fantasia di colori e di forme in cui la vita si esprime diventerebbe una cesta di stracci, senza origine, scopo, significato…. Occorre che quella nota sia riconosciuta da noi in noi stessi, perché l’io è come un brano di musica fatto di quella nota, che ha come tema quella nota, anche se le cose che più fanno impressione sono quelle più superficiali: il piacere immediato, il gusto immediato, la riuscita immediata, l’impressione immediata, la reazione, ciò che è istintivo.

Quella nota distrugge continuamente l'istintivo e impedisce che tu ti fermi, ti arresti, perché l'istintivo dell'amore, della bellezza, del gusto del lavoro, della riuscita ti fossilizza, ti impietrisce. Al contrario è quella nota dominante che sbriciola le pietre e muove tutta la realtà del tempo e della nostra vita, la muove come l’acqua del fiume muove i ciottoli, come il mare muove la sabbia. Per questo tutte le domande che l’uomo può fare, tutte le attese che può avere, vanno a finire a questa nota: la sete di felicità.

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