Carlo si è arruolato nell’esercito a 19 anni. Paracadutista poi pilota di elicotteri e istruttore di voli ha partecipato a missioni internazionali di pace. Durante la Missione di Pace nei Balcani viene a contatto con l’uranio impoverito con gravissime conseguenze per la sua salute . Subisce ripercussioni multiorgano a cuore, reni, midollo e polmoni e comparsa di patologie neurodegenerative che lo obbligano a terapie quotidiane pesantissime.

Da sempre ha coltivato e mai abbandonato la passione per lo sport a livello agonistico; cinquant’anni di attività sportiva e un cumulo di medaglie e vittorie, non ultima la prima medaglia di sempre per l’Italia ai Mondiali di Kobe nel frame running, l’ausilio che permette ad atleti con difficoltà di coordinamento e di equilibrio di cimentarsi nella corsa. “Ciò che deve fare notizia - dice Carlo - non è tanto la medaglia d’oro, per quanto bellissima, ma il fatto che grazie allo sport si può vivere bene nonostante gravi patologie come la mia."

Non c’è terapia migliore di un risultato come questo che ti ripaga di tutti i sacrifici che ci sono dietro. Per questo ringrazio in particolare la famiglia, che c’è sempre soprattutto nei momenti più difficili…Una medaglia è composta da tanti piccoli frammenti fusi insieme, come un puzzle da tanti piccoli pezzi ad incastro e come un gruppo dai suoi componenti, coesi e sempre uniti.

L'unione permette di superare gli ostacoli e di raggiungere anche vette impensabili, perché "uniti" si vince sempre. TUTTI INSIEME, SENZA LASCIARE INDIETRO NESSUNO, perché la vera forza risiede nella grandezza di credere in un solo obiettivo, da raggiungere, tutti insieme, facendo ognuno la sua parte, uno accanto all'altro, né un passo avanti, né un passo indietro, ma: fianco al fianco…Perché i sogni si possono realizzare sempre, a qualunque età, se ci credi veramente”.


MAI ARRENDERSI.

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Siamo Monica e Marco di Cassano Magnago in provincia di Varese che insieme ad alcuni amici della nostra comunità pastorale S.Maurizio, ci siamo messi in cammino per rispondere alla chiamata di Maria. Un pellegrinaggio (Macerata-Loreto ndr) lungo e faticoso, infatti si parte, nel nostro caso, da Cassano in pullman per arrivare dopo circa 8 ore a Macerata e da qui camminando tutta la notte si arriva a Loreto alla casa di Maria. Lo facciamo da alcuni anni questo gesto, perché riempie il cuore di tanto amore e ascolti testimonianze di vera fraternità cristiana .

Ci ha sempre colpito il numero enorme di pellegrini che arrivano da tutto il mondo e si ritrovano a Macerata per iniziare il pellegrinaggio portando nel cammino ciascuno il proprio “fardello” e infatti la domanda che abitava il nostro cuore era: “ma come è possibile questo?”

In alcuni momenti di maggior fatica, la domanda più pressante era: “ma c'è davvero bisogno di fare 30 km a piedi di notte per essere un cristiano devoto a Maria?”La domanda non ha generato una risposta vera e propria ma ha aperto a una marea di domande, perché la fede è anche questo ma una cosa possiamo dire con certezza: ne vale la pena!”
Mentre cammini e preghi, non solo per te, per la tua famiglia e per tutte le persone che si sono affidate attraverso di te per arrivare a Loreto, ti rendi conto che fai parte di un popolo che instancabile ringrazia e chiede allo stesso tempo di essere sempre perdonato e amato. 

All’arrivo la stanchezza è tanta ma di più l’emozione, tanto da non riuscire neanche più a cantare, gli occhi si riempiono di lacrime di gioia; la strada che porta a Maria si è inondata di preghiere: di uomini e donne, di giovani e anziani, ognuno con la propria richiesta e sofferenza perché la vita e’ questa ma poi per grazia ti ritrovi a dire : “Nulla e’ impossibile a Dio !”
Ecco noi siamo andati per camminare con Lui e Lui non ci perde mai d’occhio!

di Monica e Marco Ghidelli

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C’erano una volta i signori Bianchi. Il marito, ragioniere in una banca e sua moglie Rosa. Erano sposati da qualche tempo e avevano un bambino di nome Tino. Al suo terzo compleanno cominciarono a manifestarsi i primi sintomi di una malattia piuttosto strana. Un giorno, di ritorno dal supermercato, la signora Rosa trovò Tino accoccolato sul divano che giocava con un cavallo di gomma. “Oh, mamma mia!” esclamò. Tino le sembrava più piccolo.

Lo prese subito in braccio, controllò peso e altezza…meno male, Tino era lo stesso di sempre. Un altro giorno il signore e la signora Bianchi avevano lasciato per un attimo Tino solo in salotto. Quando tornarono lanciarono un urlo. Tino si era rimpicciolito! Appena lo presero in braccio Tino tornò quello di sempre. E così decisero di portarlo dal dottore. Il dottore lo visitò ma non trovò nulla di strano. Poi gli venne un’idea.

Lasciò Tino solo nella stanza per qualche minuto e, incredibile a dirsi, Tino era diventato piccolissimo! Appena il dottore tornò con i genitori e Tino vide il babbo e la mamma, tornò quello di prima. “Ho capito!” esclamò il dottore. “E’ grave?” incalzarono i genitori. “Calma signori, non c’è bisogno di allarmarsi, questo bambino ha bisogno di non restare mai solo. Quando rimane solo diventa piccolo. Ha bisogno della compagnia degli altri. Genitori, amici, compagni di giochi.
“E sarà sempre così, anche da grande?” “Questo si vedrà”.

Tino continuò a crescere e diventò un bambino socievole e curioso. Un giorno accadde un fatto strano. Tino, che non sapeva proprio tenere la bocca chiusa e aveva cominciato a domandare i perché di ogni cosa, aveva chiesto al suo papà quando e come sarebbe arrivato il suo fratellino. Il signor Bianchi, colto di sorpresa, gli rispose che era troppo piccolo per sapere certe cose e che avrebbe dovuto chiedere alla mamma. Tino si rimpicciolì improvvisamente. In preda al panico il signor Bianchi chiamò sua moglie, le spiegò cos’era accaduto e lei prendendo tra le braccia il piccolo Tino cercò le parole giuste per spiegare la faccenda. Tino tornò alle dimensioni normali.

Un’altra volta, a scuola, Tino chiese alla maestra perché i nonni muoiono. La maestra gli rispose che non era il momento di fare certe domande e Tino diventò improvvisamente piccolo piccolo. La maestra trasecolò. Bisognò chiamare il direttore, don Piero, il papà e la mamma di Tino perché trovassero insieme le parole giuste per dare una spiegazione al bambino. E Tino tornò normale. I genitori portarono nuovamente Tino dal dottore: “Dottore, dottore, Tino non è guarito, anzi è peggiorato! Rimpicciolisce improvvisamente!”

E raccontarono al dottore tutti gli episodi. “Calma, signori, calma. Questo bambino non è malato. Ha solo bisogno di essere ascoltato. Quando qualcuno non gli risponde o fa finta di non aver sentito la sua domanda, diventa piccolo. “E sarà sempre così?” “Si vedrà”.

Tino continuò a crescere. Continuò a fare domande, ed ebbe la fortuna di avere intorno adulti che avevano imparato ad ascoltare e a cercare insieme le risposte. Diventò grande e decise di fare il maestro.

(racconto liberamente ispirato ad una fiaba di Gianni Rodari)

di Maria Pia e i giovani dell’Officina delle Idee

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