Ricordo ad un anno dalla partecipazione all’udienza papale 22 Novembre 2023

Condivido volentieri con gli amici del Club L’inguaribile Voglia di Vivere la meravigliosa esperienza a cui ho preso parte ormai un anno fa.

Sono medico presso il Policlinico San Matteo di Pavia, ormai da quasi venti anni. Opero in una branca dell’Oncologia, la Radioterapia, ambito che quotidianamente mi mette a confronto con la sofferenza, quella dura, quella che a volte pare essere senza Speranza. Questo percorso professionale e soprattutto umano è stato, fin dall’inizio, fonte di interrogativi e di inquietudine, anche rispetto al Cammino di Fede che stavo compiendo.

Una associazione di Dipendenti ha organizzato una partecipazione all’Udienza del mercoledì con il Santo padre, a cui hanno presenziato in particolare i bambini dell’ Oncoematologia Pediatrica (tanti i bimbi ormai guariti) accompagnati dalle loro famiglie, da don Alberto, sacerdote che si occupa di loro durante le degenze, insieme ad un gruppo di dipendenti (medici, operatori sanitari). Ho avuto la fortuna di portare con me i miei figli, Laura di 13 anni e Simone di 9, per una esperienza che rimarrà indelebile nei loro ricordi. Con grande tenacia hanno affrontato il viaggio un bimbo ed una giovane ragazza attualmente in terapia, nonostante la debolezza e la difficoltà determinata dalla malattia e dalle cure farmacologiche in atto.

Papa Francesco è si è presentato ai fedeli ed ha mostrato tutta la sua umanità, la sua vera vicinanza, non nascondendo la sua personale fragilità e sofferenza fisica (di lì a qualche giorno un ricovero per infezione polmonare). L’omelia con la voce affaticata, l’arsura, le soste nel discorso, hanno semmai permesso di rivelare quanto autentica fosse la sua personale condivisione della sofferenza che a lui si è accostata. Essere così vicino al Santo Padre durante il suo saluto ai fedeli, poter toccare la sua mano, mi ha fatto sentire molto di più che “nell’ombra di San Pietro” del famoso affresco di Masaccio. La Sofferenza che incontra la Fede.

Questo incontro è stato una Grazia donata da Dio, che imprime in me quanto Gesù stesso ha condiviso e amato della nostra fragile umanità. Un grande slancio nel proseguire la vocazione alla cura della persona, chiedendo di saper sempre scorgere in ogni fratello che soffre il volto del Signore.

di Sara Colombo - Cassano Magnago (VA)

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Il nostro amico Michele la Pusata, affetto da SLA è vicepresidente nazionale dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Amiotrofica) che è un importante punto di riferimento per questi malati. Michele ha scritto un importante articolo pubblicato dal quotidiano Avvenire per porre l’attenzione sul fatto che tra le apparecchiature elettromedicali che danno diritto al bonus elettrico non rientrino la macchina della tosse e comunicatori oculari. AISLA ha richiesto al Ministero della Salute l’inserimento di queste due apparecchiature.
Ecco le sue parole ricche dello spirito di tanti malati di SLA: Sperare..Lottare ..Amare

“Il carovita, dal punto di vista formale, credo sia un problema uguale per tutti i settori della società, a eccezione degli speculatori che traggono ingenti profitti da questa profonda crisi energetica, economica e umanitaria. Tutte le differenze sono depositate nella capacità di risposta alla crisi in atto. 
Nel mio caso particolare, come anche nella stragrande maggioranza delle famiglie al cui interno vi sia un malato affetto da SLA, affrontare la situazione di oggi è molto complicato.

I miei famigliari possono certamente mutare le abitudini di vita, per esempio nell’uso della lavatrice, in quello di lampade a led, ma, il grosso della bolletta è rappresentato dai consumi legati ai macchinari che mi permettono di continuare a vivere dignitosamente. 
Cosa potrei modificare nella mia vita che non ho ancora modificato? Provo a ragionarci un po’, anche in modo ironico. I due respiratori potrei sostituirli? Certo, utilizzando il pallone ambu h24, ma onestamente non riesco a quantificare il costo della manodopera e il reperimento di tale figura professionale nel mercato del lavoro. Sarebbe un’idea per creare lavoro senza violentare l’ambiente. Riguardo alla pompa che alimenta la mia nutrizione, potrei certamente saltare un pasto dimezzando i costi energetici, oppure anche qui adottare lo stesso metodo di prima. Sugli aspiratori e la macchina della tosse (io la chiamo l’aspirapolvere), non c’è spazio di manovra in quanto sono utilizzati al bisogno. Economizzare sul materasso antidecubito è fuori discussione, in quanto le conseguenze sarebbero le piaghe a volontà. Credo resti la considerazione sul comunicatore oculare, e qui il discorso si fa serio, molto serio. Io potrei accettare la possibilità verosimile di respirare con il pallone ambu, di nutrirmi anche a giorni alterni, ma non potrei mai vivere senza il mio comunicatore, impazzirei e preferirei morire piuttosto.

Il corpo e la mente sono un binomio inscindibile e la loro relazione con il mondo esterno rappresenta il senso più alto del vivere umano, qui ci troviamo alle profondità delle radici primordiali della libertà inalienabile. In quindici anni di malattia ho sperimentato che la relazione con sé stessi è propedeutica alla piena relazione con il mondo esterno, e questo consente il raggiungimento della piena autorealizzazione della felicità individuale, o meglio ancora, da cristiano cattolico che mi onoro di essere, di raggiungere lo stato di grazia che permette di sperimentare l’eternità.

Immagino il comunicatore, nella vita di una persona con la SLA, come la valvola di sfogo di una pentola a pressione. Senza questa valvola, il corpo, come la pentola, è destinata a una violenta e devastante deflagrazione, con una potenza distruttiva molto simile alla bomba atomica. Concludo, affermando che tutti questi macchinari sono a tutti gli effetti parte integrante del mio corpo, estensioni della mia persona. 
Rinunciare o limitare l’uso di questi organi significherebbe eseguire una vera e propria amputazione. E per noi, che già godiamo dei requisiti vitali minimi e indispensabili per essere dichiarati vivi, è impossibile poter rinunciare a questi ausili, o meglio protesi. Io dico sempre, parafrasando un grande filosofo: un materasso antidecubito sotto di me, un comunicatore sopra di me e la legge dell’amore dentro di me. Come leggiamo noi malati l’acronimo SLA? Semplicemente, Sperare Lottare Amare”

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La speranza per me si lega alla capacità di scorgere nella quotidianità piccoli o grandi segni di come Dio opera nella vita degli uomini. Vi porto due esempi, uno "grande"  e uno apparentemente "piccolo", ma per me ugualmente significativi. 

Il primo è la Casa Gialla che mia sorella Isa, sua figlia Lia e il marito Michele hanno messo in piedi anni fa. Già il fatto che un'anziana signora, Onorina, avesse espresso il desiderio di lasciare gratuitamente un grande stabile ad uso industriale per destinarlo ad un'opera di utilità sociale era in fatto a suo modo eccezionale. Restava comunque il problema di come reperire l'ingente somma per i lavori di adattamento alla sua nuova funzione di casa famiglia per bambini. Quando ormai tutto sembrava essere stato solo un bel sogno ecco farsi avanti un inaspettato benefattore che si è fatto carico di tutte le spese da sostenere. E poi dicono che i miracoli non esistono! Esistono eccome al Buon Dio piace servirsi degli uomini per farli.

Il secondo piccolo episodio me l'ha raccontato mio marito che fa il volontario ad una Mensa per Poveri.  Lì trova ovviamente persone di tutti i tipi, per lo più grate del servizio che ricevono e di animo tranquillo. Non tutte però. Una in particolare qualche volta aveva creato dei problemi per il suo comportamento sgradevole e a tratti aggressivo.  Così, quando lo si vedeva arrivare, tra i volontari serpeggiava una certa inquietudine. Poi un giorno capita questo. Il nostro uomo arriva e i volontari cominciamo a servire lui e gli altri ospiti. Terminati i primi si passa ai secondi piatti. In genere avanza sempre qualcosa ed anche quel giorno si serve il bis a che lo vuole. Il nostro tipo ovviamente è tra quelli che lo chiedono. Proprio in quel momento arriva un ospite ritardatario che va a sedersi proprio vicino a lui. Il responsabile della mensa sta per andare a dire al nuovo arrivato che non era rimasto niente. Ed ecco che il tipo sgradevole gli passa senza esserne richiesto il suo bis. Che dire? C'è in ogni uomo un cuore disposto al bene. 
Questo fa sperare anche in tempi duri come quelli attuali.

(di Carla Carenzi)


casa gialla 2Casa Gialla

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