Agata Smeralda fu la prima neonata il 5 febbraio 1445 a passare attraverso la grata della finestra dell’Ospedale degli Innocenti a Firenze. Dopo di lei più di 500.000 bambini hanno trovato accoglienza tra le sue mura.

La grata alla finestra era fatta in modo che attraverso le sue inferriate potesse passarci solo il corpicino di un neonato. Questa scelta dell’Ospedale era per favorire i figli illegittimi, che non avevano la possibilità di crescere con i genitori , i bimbi perciò più fragili e a rischio di sopravvivenza. Al di là di questa finestra c’era un presepe con Maria e Giuseppe quasi a grandezza naturale e in mezzo a loro una culla vuota dove veniva messo il neonato...era Gesù che nasceva all’Ospedale e nei documenti di registrazione della nascita veniva scritto: “posto nel presepe il giorno .. alle ore..”.

Alle madri che abbandonavano i figli veniva chiesto solo se erano stati battezzati e con quale nome e di lasciare un segno di riconoscimento, spesso una medaglia spezzata a metà, qualora ci ripensassero e volessero tornare a prenderseli. L’Ospedale degli Innocenti non era però un luogo di cura medica come lo sono i nostri ospedali ma una “famiglia” che curava, istruiva educava, faceva imparare un lavoro. Si poteva, raggiunta l’autonomia, andarsene o restare ma si poteva anche tornarci quando le condizioni del mondo esterno diventavano intollerabili...

Il seme che Francesco Datini aveva lasciato donando 1000 fiorini per l’inizio di quest’opera ha dato frutti che sono continuati fino ai nostri giorni. La sua generosità aveva radici nella sua storia personale. Rimasto orfano, adottato, con intraprendenza e coraggio divenne mercante ricchissimo con attività diffuse in tutto il mondo allora conosciuto. Senza dimenticare le sue origini si prodigò per alleviare le sofferenze dei più poveri.

La “finestra dell’accoglienza” venne chiusa nel 1875 ma ancora oggi l’Ospedale è “casa” per chi non ha avuto la fortuna di avere una famiglia.

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Ricordo ad un anno dalla partecipazione all’udienza papale 22 Novembre 2023

Condivido volentieri con gli amici del Club L’inguaribile Voglia di Vivere la meravigliosa esperienza a cui ho preso parte ormai un anno fa.

Sono medico presso il Policlinico San Matteo di Pavia, ormai da quasi venti anni. Opero in una branca dell’Oncologia, la Radioterapia, ambito che quotidianamente mi mette a confronto con la sofferenza, quella dura, quella che a volte pare essere senza Speranza. Questo percorso professionale e soprattutto umano è stato, fin dall’inizio, fonte di interrogativi e di inquietudine, anche rispetto al Cammino di Fede che stavo compiendo.

Una associazione di Dipendenti ha organizzato una partecipazione all’Udienza del mercoledì con il Santo padre, a cui hanno presenziato in particolare i bambini dell’ Oncoematologia Pediatrica (tanti i bimbi ormai guariti) accompagnati dalle loro famiglie, da don Alberto, sacerdote che si occupa di loro durante le degenze, insieme ad un gruppo di dipendenti (medici, operatori sanitari). Ho avuto la fortuna di portare con me i miei figli, Laura di 13 anni e Simone di 9, per una esperienza che rimarrà indelebile nei loro ricordi. Con grande tenacia hanno affrontato il viaggio un bimbo ed una giovane ragazza attualmente in terapia, nonostante la debolezza e la difficoltà determinata dalla malattia e dalle cure farmacologiche in atto.

Papa Francesco è si è presentato ai fedeli ed ha mostrato tutta la sua umanità, la sua vera vicinanza, non nascondendo la sua personale fragilità e sofferenza fisica (di lì a qualche giorno un ricovero per infezione polmonare). L’omelia con la voce affaticata, l’arsura, le soste nel discorso, hanno semmai permesso di rivelare quanto autentica fosse la sua personale condivisione della sofferenza che a lui si è accostata. Essere così vicino al Santo Padre durante il suo saluto ai fedeli, poter toccare la sua mano, mi ha fatto sentire molto di più che “nell’ombra di San Pietro” del famoso affresco di Masaccio. La Sofferenza che incontra la Fede.

Questo incontro è stato una Grazia donata da Dio, che imprime in me quanto Gesù stesso ha condiviso e amato della nostra fragile umanità. Un grande slancio nel proseguire la vocazione alla cura della persona, chiedendo di saper sempre scorgere in ogni fratello che soffre il volto del Signore.

di Sara Colombo - Cassano Magnago (VA)

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Il nostro amico Michele la Pusata, affetto da SLA è vicepresidente nazionale dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Amiotrofica) che è un importante punto di riferimento per questi malati. Michele ha scritto un importante articolo pubblicato dal quotidiano Avvenire per porre l’attenzione sul fatto che tra le apparecchiature elettromedicali che danno diritto al bonus elettrico non rientrino la macchina della tosse e comunicatori oculari. AISLA ha richiesto al Ministero della Salute l’inserimento di queste due apparecchiature.
Ecco le sue parole ricche dello spirito di tanti malati di SLA: Sperare..Lottare ..Amare

“Il carovita, dal punto di vista formale, credo sia un problema uguale per tutti i settori della società, a eccezione degli speculatori che traggono ingenti profitti da questa profonda crisi energetica, economica e umanitaria. Tutte le differenze sono depositate nella capacità di risposta alla crisi in atto. 
Nel mio caso particolare, come anche nella stragrande maggioranza delle famiglie al cui interno vi sia un malato affetto da SLA, affrontare la situazione di oggi è molto complicato.

I miei famigliari possono certamente mutare le abitudini di vita, per esempio nell’uso della lavatrice, in quello di lampade a led, ma, il grosso della bolletta è rappresentato dai consumi legati ai macchinari che mi permettono di continuare a vivere dignitosamente. 
Cosa potrei modificare nella mia vita che non ho ancora modificato? Provo a ragionarci un po’, anche in modo ironico. I due respiratori potrei sostituirli? Certo, utilizzando il pallone ambu h24, ma onestamente non riesco a quantificare il costo della manodopera e il reperimento di tale figura professionale nel mercato del lavoro. Sarebbe un’idea per creare lavoro senza violentare l’ambiente. Riguardo alla pompa che alimenta la mia nutrizione, potrei certamente saltare un pasto dimezzando i costi energetici, oppure anche qui adottare lo stesso metodo di prima. Sugli aspiratori e la macchina della tosse (io la chiamo l’aspirapolvere), non c’è spazio di manovra in quanto sono utilizzati al bisogno. Economizzare sul materasso antidecubito è fuori discussione, in quanto le conseguenze sarebbero le piaghe a volontà. Credo resti la considerazione sul comunicatore oculare, e qui il discorso si fa serio, molto serio. Io potrei accettare la possibilità verosimile di respirare con il pallone ambu, di nutrirmi anche a giorni alterni, ma non potrei mai vivere senza il mio comunicatore, impazzirei e preferirei morire piuttosto.

Il corpo e la mente sono un binomio inscindibile e la loro relazione con il mondo esterno rappresenta il senso più alto del vivere umano, qui ci troviamo alle profondità delle radici primordiali della libertà inalienabile. In quindici anni di malattia ho sperimentato che la relazione con sé stessi è propedeutica alla piena relazione con il mondo esterno, e questo consente il raggiungimento della piena autorealizzazione della felicità individuale, o meglio ancora, da cristiano cattolico che mi onoro di essere, di raggiungere lo stato di grazia che permette di sperimentare l’eternità.

Immagino il comunicatore, nella vita di una persona con la SLA, come la valvola di sfogo di una pentola a pressione. Senza questa valvola, il corpo, come la pentola, è destinata a una violenta e devastante deflagrazione, con una potenza distruttiva molto simile alla bomba atomica. Concludo, affermando che tutti questi macchinari sono a tutti gli effetti parte integrante del mio corpo, estensioni della mia persona. 
Rinunciare o limitare l’uso di questi organi significherebbe eseguire una vera e propria amputazione. E per noi, che già godiamo dei requisiti vitali minimi e indispensabili per essere dichiarati vivi, è impossibile poter rinunciare a questi ausili, o meglio protesi. Io dico sempre, parafrasando un grande filosofo: un materasso antidecubito sotto di me, un comunicatore sopra di me e la legge dell’amore dentro di me. Come leggiamo noi malati l’acronimo SLA? Semplicemente, Sperare Lottare Amare”

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