Sono mamma di un ragazzo con Sindrome Down orgogliosa da sempre di esserlo per tutto quello che mi ha fatto scoprire. Non sono state fatte indagini prenatali, perché per me un figlio sarebbe stato accolto come un figlio, una persona prima di tutto. Il giorno dopo la sua nascita io e mio marito ci siamo rinnovati intenzioni e promesse verso di noi e verso l’altro figlio.

Naturalmente al suo arrivo il primo pensiero è di proiettarsi nel futuro e nonostante la conoscenza della Sindrome, voler a tutti i costi immaginare la sua crescita. E’ il primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera. Ma quando ti accorgi che il futuro di ognuno di noi è impossibile conoscerlo, allora vivi giorno per giorno, attimo per attimo, tutti i processi della crescita e di quel percorso lento in cui si apprezzano tutti i particolari che sono sfuggiti con l’altro figlio, dalla meraviglia del camminare a quella di fare una cosa da solo,dalle prime parole e tantissimo altro ancora.

Mio figlio mi ha insegnato ad apprezzare ritmi di vita più lenti che noi presi dalla frenesia del quotidiano a volte non contempliamo e poi la spontaneità e la bellezza della vita, sì perchè al loro sguardo non sfugge proprio nulla, apprezzando ad esempio un cielo stellato o un tramonto ricco di penellate di colore diverso. La fiducia è molto importante in un cammino di crescita perchè ti dà la tranquillità di collaborare, osservare e nello stesso tempo di intervenire al fine di migliorare le situazioni. Ma per fare questo bisogna essere sempre sul pezzo, camminare a fianco del proprio figlio per affrontare dal nido e alla scuola materna, elementare, media e superiore tutto il cammino necessario per il suo apprendimento e tutto quello che verrà dopo …. però è importante favorire le relazioni con tutti, soprattutto far capire agli altri genitori le difficolta’ perché ci sia piena accoglienza e quel figlio possa essere non un problema o un rallentamento ma un arricchimento per tutti.

Questo, ve lo assicuro, è possibile perché l’ho vissuto in prima persona con ottimi risultati. Ma c’è ancora molto da fare. Ognuno nella società deve fare la propria parte per l’inclusione dei nostri figli disabili, saperli guardare, ascoltarli e apprezzare le loro capacità valorizzandole per abbattere ogni pregiudizio.

Voglio immaginare un futuro per i miei figli, dove ognuno di loro possa percorrere la propria strada e il loro progetto di vita, ma che soprattutto diano il meglio di se stessi e possano essere felici. Un grazie alla mia grande famiglia e a tutte ma tutte le persone che sono presenti nel cammino di mio figlio.

 

di Antonella Cibin

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Ho conosciuto Filippo - ci racconta Luisella (del direttivo del nostro Club) - grazie alla mostra della Beata Benedetta Bianchi Porro e subito mi ha colpito la sua profondità d’animo e la passione per la vita. Ho così scoperto che Filippo ha vissuto in Uganda con la moglie e i suoi otto figli dal 1980 al 2009 lavorando come medico per conto di Ong come Cuamm e Avsi e realizzando progetti in collaborazione con il governo italiano, le Nazioni Unite, l’Unione Europea e agenzie di cooperazione internazionale. Dal 2009 al 2016 è stato direttore del progetto Cluster tematici di Expo Milano 2015. Da maggio 2016 a marzo 2017 ha diretto l’ospedale Dr Ambrosoli Memorial Hospital a Kalongo, in Uganda. Da giugno 2017 a gennaio 2021 è stato direttore generale della Fondazione Banco Farmaceutico. La sua Inguaribile voglia di vivere e’ stata per me così evidente che gli ho chiesto di regalarci una sua testimonianza.

 

Mia moglie da anni mi scrive ogni giorno, condividendo pensieri, preghiere, domande, esperienze, anniversari e ricordi che altrimenti andrebbero perduti. Penso, anzi, ne sono certo, che scriva per amore e per Amore. Mi scrive per il profondo affetto che ci lega da 45 anni e anche scrive per l’Amore, quello grande che necessita la lettera maiuscola, a cui si affida e ci affida, quotidianamente con preziosa fedeltà.

Io, invece ho iniziato a scrivere con una regolarità settimanale da quando i colleghi di Expo 2015 mi chiesero, in partenza per l’ospedale di Kalongo in Uganda, di raccontare loro della mia esotica avventura. Era il 31 marzo 2016. Arrivato in Uganda, non dimenticai la promessa fatta ai colleghi. Dall’8 maggio 2016 al 2 aprile 2017, la lettera settimanale era dedicata a descrivere fatti e persone incontrate, condividere le emozioni e le valutazioni personali, guardare al senso delle gioie e dei dolori. Da queste lettere è nato il mio primo libro, “La montagna del vento”. Raccontare e condividere quello che succedeva, suscitava in me una grande speranza, perché, misteriosamente, c’era sempre un incontro prezioso, un fatto inatteso, uno spettacolo naturale meraviglioso.

Così si illuminava la giornata e si affrontavano le fatiche e le difficoltà con una baldanza che non era solo mia. Scrivere è un impegno faticoso, che domanda tempo e attenzione. Soprattutto, implica la libertà di “dire di sé” e di mettersi in gioco. Pensavo al rientro dall’Uganda di smettere, ma il caro amico Carlo Zorzi, tornato alla passione giornalistica della giovinezza, dopo la lunga e fruttuosa parentesi di operatore umanitario che ci ha uniti, mi ha chiesto nell’autunno del 2017 di scrivere una pillola settimanale per il settimanale “Il Risveglio popolare”, che dirige per la diocesi di Ivrea. Così succede da allora.L’affetto che mi lega a Carlo e alla sua famiglia è stata una grazia in tutti i sensi, perché mi permette ogni domenica mattina nella mia mansarda, come avevo fatto sotto la veranda dell’ospedale nella savana, ai piedi della Montagna del Vento, di guardare al fondo delle cose avvenute durante la settimana passata, dei cieli, dei fiori, delle montagne e delle persone, rinnovando, attraverso la parola scritta, la speranza che mi si fa incontro.

“Tu appena cominci a cercarlo, e Cristo ti è già vicino. Non può sottrarsi a chi lo desidera, lui che si è manifestato a chi non lo attendeva; poiché Cristo è amore.” Sant’Ambrogio

Si tratta di brevi racconti che si leggono in un attimo, momenti di vita quotidiana, incontri, ricordi, emozioni, volti che tornano alla mente. In ognuno di essi descrivo la febbrile ricerca del Mistero nascosto nelle persone, nelle circostanze, nelle cose, nel nostro cuore. Infatti il “divino nascosto” non aspetta altro che di essere scoperto ed amato. Il 13 giugno 2021, quarto anniversario della morte del grande missionario padre Pietro Tiboni, mi sono reso conto che nessuno aveva scritto, né aveva intenzione di scrivere della sua vita così ricca di avventure, fede, sapienza e carità. Così è nato il mio terzo libro. “Padre Tiboni, Uno tra i più santi uomini che abbiamo”.

Il titolo, a ragione, prende spunto da una definizione felice di Don Giussani che ho scoperto, scrivendo e raccontando, essere stato ancora una volta profeta. Dedicai questa fatica, nuova perché mai mi ero cimentato nel racconto di una intera esistenza, a Fratel Elio Croce, un altro protagonista della mia vita in terra di missione. Tutti i 30 anni trascorsi in Uganda con la mia famiglia hanno avuto in Elio e Pietro i giganti che hanno reso sicuro e anche facile l’impervio, e a volte pericoloso, cammino comune. Così nacque il quarto libro, “Elio Croce. Fratello, missionario, comboniano”. Un altro racconto di una vita bella e preziosa, donata incondizionatamente nella carità. Infine, proprio in questi giorni, è uscita la storia semplice e gloriosa di un mio compagno di studi e collega, “Bobo Torchiana. L’amore non fa mai male al prossimo”. Francesco detto Bobo è stato uno come noi, eppure aveva qualcosa di speciale, che lo rendeva attraente, nobile, capace. Non era una ricchezza tutta sua, era il dono di una grazia che ha saputo accogliere e cercare anche nei momenti difficili della sua breve e intensa vita.

Passo dopo passo, pillola dopo pillola e libro dopo libro, ho capito di poter dedicare questa ultima stagione della mia vita al racconto della bellezza e della carità che ho incontrato e che rende ricco e appassionato il mio presente, anche se tanto di me incomincia a venire meno. A questa schiera di amici va la gratitudine di aver suscitato in me la possibilità di guardare al Mistero che ci fa in ogni istante.

di Filippo Ciantia

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Carissimi, sollecitato dall’amica Claudia (del direttivo del Club) mi permetto di inviarvi il mio contributo.

Mi chiamo Silvio Pasero e ho fondato nel 2009 Banco Building che ora si chiama Banco delle Cose. Facendo tutt’altro lavoro (private banker), un cliente - sapendo che ero un volontario del Banco Alimentare - mi propose di donare le rimanenze del suo magazzino di materiale edile (di qui il nostro nome iniziale) a favore di opere di carità. Facemmo l’operazione e nacque Banco Building. Poiché poi - come disse un saggio - le circostanze ci indicano la nostra vocazione, la nostra opera si è allargata.

Oltre ai materiali edili e a quelli idraulici ed elettrici , ora ci occupiamo di qualsiasi bene non deperibile, dal piccolo al grande: mobili, arredi, complementi d’arredo, macchinari, attrezzature, mense e cucine, mezzi di trasporto (dalle bici ai pullman), giocattoli, cartoleria Così siamo diventati Banco delle Cose che spiega meglio la nostra mission. Se mi chiedeste perché lo faccio vi risponderei che è perché mi piace, mi diverto e un gruppo di amici si è unito a me. Con loro a volte ho discussioni funanboliche (ogni lunedì sera) ma sono certo che se dicessi loro “ho visto un asino volare” non chiamerebbero il 113 ma direbbero: “Parliamone”.

Faccio tutto questo anche perché voglio avere una poltrona in prima fila per veder accadere i miracoli. E di miracoli ne ho visti molti. Il più eclatante è stato sicuramente la storia dei pannelli solari. Un’importante azienda mi convoca per comunicarci che ha 4000 mq di pannelli solari che per errore non hanno venduto ed essendo ormai prossimi alla scadenza della certificazione non sono più vendibili. Accetto la donazione. Alla sera mia moglie (l’elemento razionale della famiglia) mi redarguisce, avvisandomi dei costi che avremmo dovuto sostenere se – non trovando allocazione per una mole così ingente – avessimo dovuto portarli in discarica. Dopo una notte passata tra gli incubi, il mattino successivo mia moglie se ne è andata a lavorare senza salutarmi ma redarguendomi sulla mia “faciloneria”. Il giorno dopo a mezzogiorno arriva una telefonata da un prefisso straniero.

Ho pensato, visto l’orario, che si trattasse del solito call center ma chissà perché ho risposto. Era la superiora del monastero cistercense di Azer in costruzione in Siria. Mai conosciuta. Un comune amico ci aveva messo in contatto. Erano 7 monache che, partite da Valserena, intendevano raccogliere l’eredità dei martiri di Thiberine. Per circostanze che per brevità devo tralasciare erano approdate in Siria perché ai tempi era un paese tranquillo dove convivevano pacificamente islamici (sciti e sunniti) e cristiani (cattolici, maroniti, greco orientali). Era in costruzione il primo nucleo del loro monastero ma avevano difficoltà. Mi disse: “Ora la situazione è più tranquilla: abbiamo acqua nel pozzo e cibo nel frigorifero ma non abbiamo corrente elettrica per tirare su l’acqua e per far funzionare i frigo. Per caso non avete un po’ di pannelli solari per produrre energia elettrica?” Risposi di sì e allora lei incalzò “Potete darcene di più così alleviamo la situazione anche dei villaggi intorno a noi: cristiani ed islamici”. E così fu. Non pensate che inviare ed installare 4000 mq di pannelli solari in Siria sia stata una passeggiata.

Fu un miracolo nel miracolo. Ora il monastero è in fase di ultimazione anche se la guerra continua lì vicino però c’è un terzo miracolo: un grande donatore (che nessuno immaginerebbe e non vi dirò mai) ha finanziato il tutto. Dio scrive dritto su righe storte. I nostri progetti per il futuro? Basta guardare. Il cattolicesimo italiano – in particolare quello ambrosiano -  ha costruito un unicum che non ha eguali. C’è un format composto da 4 banchi: Alimentare, Farmaceutico, Informatico e delle Cose che - seppur autonomi ma coordinati – sono in grado di recuperare a 360° ogni scarto ed eccedenza di produzione per donarli a opere di carità in Italia e nel mondo.

Se non è segno di speranza questo! E anche quest’anno saremo al Meeting di Rimini per raccontare cosa, come, quanto stiamo facendo.

Mica tutti successi! La lista degli insuccessi è lunga. Ma anche questo è segno di speranza.

di Silvio Pasero

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