Quando Luisella mi ha chiesto di aiutare per le visite guidate alla mostra sulla Beata Benedetta Bianchi Porro, non stavo attraversando un momento facile (come spesso capita nella quotidianità di ciascuno ) ma non ho esitato un secondo a dare la mia disponibilità. Normalmente avrei messo davanti tutte le difficoltà, le complicazioni, il poco tempo per prepararmi adeguatamente e avrei trovato una scusa valida per dire di no... Invece: il fatto che non avessi mai sentito parlare di questa Beata mi ha incuriosita fin da subito.

L'incontro con sua sorella Emanuela, all'inizio di questo viaggio, è stata la conferma dell'intuizione iniziale: racconti di vita famigliare, di una famiglia normale come ce ne sono tante, che ha saputo raccogliersi e godere della presenza di Benedetta, riflesso di una Presenza che non ci abbandona mai, anche nei momenti più terribili. Tanti aneddoti che narrano una quotidianità così simile alla nostra: fatta di momenti gioiosi e momenti di fatica grande, raccontanti con molta umiltà. Emanuela ci ha conquistati tutti con la sua verve tipicamente romagnola, ma anche con la sua grande semplicità di cuore e di parola. In effetti Benedetta ha una storia poco eclatante, seppur disseminata di piccoli segni che a posteriori svelano un disegno ben preciso (battezzata in tutta fretta alla nascita dalla mamma, poco dopo colpita da poliomielite che la lascia offesa ad una gamba …etc ).

È una bambina come tante, curiosa e stupita della vita come solo i bambini sanno essere; una ragazza normale, che desidera essere felice (bella ed amata) con le sue aspirazioni e i suoi desideri, ma che sceglie la facoltà universitaria in base ai desideri del padre (anche se poi ci ripensa). Una ragazza che di fronte ad una malattia terribile e senza speranza, reagisce come molto spesso vediamo intorno a noi: si deprime, pensa anche ad un gesto estremo, ma poi qualche cosa cambia. Ed è qui che la storia diventa Misteriosa… nel senso che il Mistero decide di farsi carne e farle compagnia attraverso alcuni amici che la accompagnano nel cambiamento di sé che la porta a guardare alla sua condizione non come a una condanna ma come ad una possibilità, magari di dare voce al quel Mistero che le ha preparato una strada incomprensibilmente buona. “Potremmo dire che gli amici si rivelano come “mezzi” attraverso i quali Dio porta lieti annunci a Benedetta” così scrive Don Andrea Vena sul libretto in cui parla di Benedetta. Ripensandoci è capitato anche a me la stessa cosa: ho riscoperto la via della Fede grazie ad amici che non mi hanno lasciato sola. Immagino che non sia stato sempre così chiaro per lei, sicuramente non lo era per sua madre che coglieva un cambiamento, ma che non sapeva spiegare.

Di Benedetta, mi ha colpito però la docilità con cui ha deciso di dare credito alla realtà che aveva di fronte e non ha mai smesso di comunicare a tutti la lieta novella, contro ogni previsione, data la malattia che le precludeva ogni possibilità di comunicare con il mondo esterno. Il suo cammino interiore è divenuto per tante persone un cammino di Speranza (proprio nell'anno del Giubileo della Speranza! ), che ha convertito molti, sostenuto e guidato moltissimi altri in momenti di prova.

Una frase in particolare mi ha colpito molto, perché così distante da me, ma al tempo stesso intuita come così vera da diventare desiderabile per la mia vita: "La sola forma di sofferenza dell'anima è il fare la volontà propria e non quella di Dio". E così mi sono trovata a raccontare la sua storia a persone sconosciute, ad amici, a fedeli ed anche a increduli. Ho incontrato alcune persone con cui ho avuto modo di chiacchierare dopo la mostra, persone conosciute di vista ma con le quali non avrei mai pensato di discutere in merito alla Fede, alla mia Fede o alla loro. Passare il poco tempo che ho dedicato a questo servizio con persone che hanno veramente a cuore la Verità di sé e del prossimo mi ha sostenuto in un momento faticoso ed è stata l'occasione per chiedermi di nuovo a che punto sono del mio cammino.

La docilità di Benedetta è diventata un obiettivo cui desidero arrivare: docilità al disegno di Dio su di me, per quanto diverso possa essere dai miei desideri.

di Elena Giardini

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La Walk for Life di Chicago è un grande raduno per una camminata dedicata alla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), grazie al quale si raccolgono fondi per le cure essenziali e la ricerca. Papa Leone ha voluto esprimere la propria vicinanza ai partecipanti e agli scienziati e ricercatori lì riuniti.

Negli ultimi dieci anni - ha detto - usando tutta la vostra conoscenza e compassione per comprendere le malattie del motoneurone e alleviare le sofferenze delle infermità che causano avete compiuto notevoli progressi. Come tutti i qui presenti, anch’io vi sono profondamente grato… Sono anche grato di essere alla presenza di così tanti caregiver: medici e infermieri, terapisti occupazionali, fisioterapisti e logoterapisti, operatori sociali e, soprattutto, amici e familiari. La vostra cura e compassione per quanti convivono con la SLA e altre malattie del motoneurone sono d’ispirazione per me e per tante altre persone. ..Permettetemi di dire qualcosa a voi che convivete con la SLA: avete un posto speciale nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Avete ricevuto un fardello importante da portare. Vorrei che non fosse così. Tuttavia, le vostre sofferenze offrono un’opportunità per scoprire e affermare una verità profonda: la qualità della vita umana non dipende dai risultati raggiunti. La qualità delle nostre vite dipende dall’amore.

Nella vostra sofferenza potete sperimentare una profondità dell’amore umano precedentemente sconosciuta. Potete crescere in gratitudine per tutto ciò che è stato e per le persone che ora si prendono cura di voi. Adesso potete sviluppare un senso profondo della bellezza del creato, della vita in questo mondo e del mistero dell’amore. Prego per voi. Prego perché invece di lasciarvi sopraffare dalla frustrazione, dalla mancanza di speranza o dalla disperazione vi abbandoniate al mistero dell’esistenza umana, all’amore dei vostri caregiver e all’abbraccio del Divino. E infine, qualche parola a chi è in lutto. Dopo esservi presi cura dei vostri cari colpiti da SLA, ora piangete la loro scomparsa. Non li avete dimenticati.

E, di fatto, il vostro amore è stato purificato dal vostro servizio e poi dal vostro lutto. Avete imparato, e ogni giorno penetrate più profondamente nel mistero più profondo: la morte non è la parola definitiva. L’amore vince la morte. L’amore vince la morte. L’amore vince la morte.

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Jim Carrey è sempre stato un attore istrionico. Chi non ricorda i suoi personaggi, dal Grinch ad Ace Ventura all’Enigmista? Quest’anno compie 63 anni e qualche tempo fa ha rivelato come la depressione sia stata la sua campagna di cammino.

Tutto è cominciato da quando nel 2015 la compagna Cathriona White, truccatrice irlandese, si è tolta la vita con un’overdose di medicine cinque giorni dopo essere stata lasciata dall’attore. Così Jim è precipitato nella depressione. In una intervista si racconta così. “Ne ho sofferto per anni ma non è più la mia compagna costante, come un tempo. Ora non mi sento più affogare perché mi sono reso conto che è come la pioggia, ti bagna, certo, ma non si posa abbastanza da sommergermi”. Jim Carrey è un attore famoso e nell’immaginario collettivo dovrebbe essere esente da ansie e preoccupazioni quotidiane.

Eppure le sue parole ci ricordano che il cuore dell’uomo ha sete di infinito. Viviamo in un mondo dove tutto sembra fermarsi all’apparenza, dove i nostri desideri sono scelti da altri, dove il mito del successo, della ricchezza e della soddisfazione ad ogni costo di ogni nostra aspettativa può diventare la legge del quotidiano. Ma quando il dolore ti tocca ti rendi conto che tutto quanto ti viene proposto non basta più. Jim Carrey nell’intervista parla così della sofferenza che ha incontrato nella sua depressione: “Quell’abisso io lo chiamo “fiume di lacrime”. E’ qualcosa che spaventa tutti e che affrontiamo come meglio ci riesce, bevendo, facendo uso di droghe, ingozzandoci o facendo sesso con gente di cui non c’importa niente. Ci anestetizziamo per evitare il dolore. A volte sembra così forte la corrente che ti trascina, forte al punto di pensare di non farcela e di scomparire, ma poi attraversi la riva e ti ritrovi dall’altra parte. Quell’inferno che hai provato si mescola al paradiso e capisci che tutto il rumore che avevi nella tua testa è anche frutto dei pensieri in cui ti macini. Ci sono momenti luminosi e altri bui, ma ho cercato di scrollarmi di dosso l’idea che ruoti tutto attorno a me e ai miei desideri”.

La malattia, qualunque sia il volto che ha, è un cammino faticoso.

Condividere è il migliore aiuto ma ognuno deve trovare la risposta più giusta per sé e per la propria vita. Questa è quella che Maria Zambrano, filosofa spagnola ci suggerisce:

"Aprire gli occhi alla luce sorridendo, 
benedire il nuovo giorno,
l'anima, la vita ricevuta, la vita...
Un regalo di Dio che ci conosce, 
che sa il nostro segreto, 
la nostra inutilità." 

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