"L’unica gioia al mondo è cominciare. E’ bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante".
Questa frase di Cesare Pavese è scritta sulla porta di ingresso della scuola primaria in cui lavoro dal 2001 e ogni giorno mi ricorda la bellezza del compito a cui sono chiamata insieme alle maestre con cui lavoro: educare i bambini che ci sono affidati. Ogni mattina accolgo i bambini fuori dalla porta della scuola, li chiamo tutti per nome e auguro loro una buona giornata, una giornata ricca di bene perché ciascuno di loro è un bene prezioso.
Ci tengo molto a questo saluto quotidiano, perché è all’inizio di ogni nuovo giorno e come dico spesso ai bambini: “Ogni giorno è un dono tutto nuovo che possiamo “aprire” insieme”; quando entrano vedo volti sorridenti, stanchi, pensierosi e penso che siamo fortunati ad essere insieme ad iniziare la giornata e che ogni giorno è un nuovo inizio. Quando accogliamo un bambino, prepariamo tutto affinché ciascuno si senta atteso e voluto bene, che in fondo è il desiderio che abbiamo anche noi adulti. Ma cosa significa educare un bambino?
Io dico sempre alle famiglie che incontro che ogni bambino ha già in sé tutto ciò che gli occorre per diventare grande perché il buon Dio gli ha già fatto molti doni, allora noi adulti a scuola aiutiamo i bambini a conoscere la realtà, il grande dono fatto a ciascuno di noi. Facendo lezione, leggendo e scrivendo, cantando, ecc. noi educhiamo, comunicando uno sguardo di bene, aiutando i bambini a stare nella realtà, ad usare bene il proprio tempo, a stare con gli altri, a usare le cose per lo scopo che hanno, a seguire un maestro che ti prende per mano e ti accompagna, aiutandoti a godere delle cose belle, correggendoti quando sbagli e accogliendoti ogni giorno.
Riconosco che io posso educare solo se a mia volta sono educato, per questo motivo ci sono molti momenti di giudizio e confronto interni alla scuola, ma anche con altre realtà educative. Con il passare degli anni sono cambiate tante cose nella scuola, a volte sembra che aumentino le difficoltà, ma ogni giorno ci muove il desiderio che ciascun bambino faccia un passo. Il dialogo con le famiglie, che a volte sono sole e fragili, è un aspetto importante che va sempre coltivato perché solo così potrà crearsi quella alleanza educativa tanto preziosa per i bambini, diceva infatti Papa Francesco citando un antico proverbio africano “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”.
La mia scuola è un piccolo villaggio dove ogni giorno anche noi adulti camminiamo con i nostri bambini e la cosa bella è che non c’è un giorno uguale all’altro, ogni giorno è una sorpresa.
di Letizia Vanin
Sette mesi fa, in questa stessa newsletter, avevamo lanciato un piccolo appello al sindaco di Bologna, Matteo Lepore: “Prima o poi Bologna dovrà ricordarsi, in qualche modo, di voi. Magari con il Nettuno d’Oro.”Parlavamo di Maria Vaccari e Fulvio De Nigris, che dalla tragedia della perdita del figlio Luca hanno saputo creare un luogo straordinario: la Casa dei Risvegli.
Un laboratorio di scienza, umanità e speranza che da vent’anni rappresenta un modello internazionale. Una cattedrale laica, nata dal dolore ma costruita con amore, pietra su pietra, gesto dopo gesto. Oggi, con gioia, possiamo dire che quel nostro desiderio – e il desiderio di tanti cittadini – è stato ascoltato.
Martedì15 aprile, nella Sala Rossa di Palazzo d’Accursio, Fulvio e Maria hanno ricevuto dal sindaco Lepore la Turrita d’Argento, un riconoscimento importante, sentito, meritato. Non è il Nettuno d’Oro, è vero, ma il significato profondo resta: la città si è fermata un momento per dire “grazie”. E forse, in questi tempi così frenetici, è proprio questo il premio più raro.
Il ringraziamento non è solo a due persone, ma a un’intera comunità: famiglie, medici, volontari, amici. A chi si prende cura. A chi non smette di credere. A chi, come Maria e Fulvio, continua ogni giorno a trasformare la fragilità in forza, la perdita in presenza. E allora sì, lasciatecelo dire con affetto: siamo felici, oggi, di aver contribuito – anche solo con una parola – a fare in modo che Bologna si ricordasse di loro.
E lo facesse nel modo più bello: con un abbraccio pubblico.
Dietro questo nome tutto inglese ci sta una storia tutta italiana. Nel nostro paese amiamo la buona cucina, siamo sicuramente un’eccellenza in campo internazionale, amiamo le nostra tradizioni ma soprattutto amiamo i nostri figli e per loro siamo capaci di mettere in campo tutta la fantasia di cui siamo capaci. Yuri Primicerio è il nome di un ragazzo autistico per il quale il papà Giuseppe, da buon pugliese, si è inventato il progetto “Le orecchiette che vorrei”.
Le orecchiette sono un prodotto della tradizione pugliese, conosciuto in tutto il mondo. La loro preparazione artigianale coinvolge i ragazzi con autismo. Come dice Giuseppe: “ Il nostro obiettivo è quello di rendere i ragazzi con autismo autonomi, inserendoli nel mondo del lavoro e dando loro uno scopo, facendoli sentire utili e gratificati.” “I giovani sono divisi in gruppi da 6 o 8 persone e lavorano circa 3 o 4 ore al giorno, a seconda delle loro capacità di concentrazione e di resistenza. Avere gruppi poco numerosi favorisce il senso di aggregazione e di appartenenza, aiuta i ragazzi a sentirsi attivi e tutto ciò ha anche un valore terapeutico”. “Mentre lavorano, i ragazzi sono felici perché si sentono utili e sanno di costruire un’opportunità per il loro futuro.
Il progetto “Le Orecchiette Che Vorrei”, infatti, punta proprio a rendere i giovani con autismo autonomi dal punto di vista economico e a sentirsi inseriti nella comunità.. L’intento è preservare l’autenticità del nostro territorio, ma facendo un passo ulteriore, che ci proietta verso il futuro. Ormai le persone sono sempre più attente a ciò che mangiano, perciò vogliamo offrire un prodotto di qualità, buono da gustare, sano e che fa bene alla salute” e queste orecchiette coniugano tradizione e innovazione. Tra le innovazioni ci sono sicuramente gli ingredienti: acqua di mare purificata e una miscela di farina di riso e di mais e fecola di patate. Non solo Papa Francesco ha avuto modo di apprezzare il piatto pugliese. “Le orecchiette che vorrei” e i suoi ragazzi sono stati selezionati per partecipare al G7 per le disabilità che si è svolto ad Assisi ad ottobre 2024.
I ragazzi autistici coinvolti hanno avuto l’opportunità di incontrare i ministri dei sette Paesi più industrializzati e di far conoscere la loro storia, unendo la passione per la cucina alla voglia di costruire un futuro migliore.